PIERO DONATO
Riconoscimenti
ricevuti:
-Maggio
1993
Premio Nazionale Le Caravelle 3° Edizione
Chiavari (GE) 2° Premio
Poesia-
-Novembre1993
Premio Internazionale Associazione Artisti di Genova 1° Edizione
2° Premio Poesia ex aequo
-Novembre
1993 Premio
Internazionale Associazione Artisti di Genova 1° Edizione 3° Premio Narrativa
-Febbraio
1994
Premio Internazionale Una Poesia per S. Valentino -Associazione Artisti
di Genova 1° Premio Poesia ex aequo.
-Aprile
1994 Premio Internazionale Dialogo 5°
Edizione - Olgiate Comasco Premio Speciale Poesia Edita (Impulsi e Forma)
-Aprile
1994 Premio Nazionale Franco
Bargagna 12° Edizione – Pontedera (PI) 1°
Premio Assoluto Poesia Edita (Impulsi e Forma)
-Giugno
1994
Premio Nazionale Le Caravelle 4° Edizione – S. Margherita Ligure (GE)
Segnalazione Silloge inedita
-Giugno
1994
Premio Internazionale Il Poliziano 7° Edizione – Montepulciano (SI) 4°
Premio Poesia
-Giugno
1994
Premio Internazionale Associazione Artisti di Genova 2° Edizione 1°
Premio Speciale Poesia
-Giugno
1994
Premio Internazionale Cl
-Ottobre
1994
Premio Nazionale Incontro d’arte Autunno Veneziano – Venezia Premio
Speciale Poesia Edita (Impulsi e Forma)
-Ottobre
1994
Premio Nazionale Incontro d’arte Autunno Veneziano – Venezia 3°
Premio Silloge Inedita
-Ottobre
1994
Premio Nazionale Incontro d’arte Autunno Veneziano – Venezia Premio
Speciale Narrativa
-Novembre
1994 Premio
Internazionale Giovanni Gronchi 8° Edizione – Pontedera (PI) Premio Speciale
Autori distinti in più sezioni
-Dicembre
1994 Premio
Letterario Internazionale Omaggio a Giacomo Leopardi – Roma 2° Premio Poesia
Edita (Impulsi e Forma)
-Ottobre
1995
Premio Nazionale La Campana – Avegno (GE) Segnalazione Poesia Inedita
-Novembre
1995 Premio
Internazionale Omaggio a Pirandello – Roma 2° Premio Poesia Edita (Impulsi e
Forma)
-Novembre
1995 Premio
Internazionale Giovanni Gronchi 9° Edizione – Pontedera (PI) 5° Premio
Narrativa Inedita
-Novembre
1995 Premio
Letterario Il giro d’Italia delle Poesie in Cornice – Melegnano (MI)
Finalista
-Ottobre
1996
Premio Internazionale Omaggio a Dante Alighieri – Roma 2° Premio
Poesia Edita (Impulsi e Forma)
-Ottobre
1996
Premio Internazionale Omaggio ad Alesssandro Manzoni – Roma Premio
Edizioni Passaporto Duemila per la silloge inedita
-Novembre
1997 Premio
Letterario Jaques Prevert di Narrativa Inedita – Melegnano (MI) Segnalazione
della Giuria
-Novembre
1997 Premio
Letterario Nazionale Città di Fucecchio – Fucecchio (FI) 3° Premio ex aequo
Poesia Edita (Utopia di fine Novecento)
-Marzo
1998 Premio Letterario Nazionale Domenico
Rea 2° Edizione – Empoli (FI) Segnalazione della Giuria per la Narrativa
Inedita
-Aprile
1998 Premio Internazionale Omaggio a
Carlo Goldoni – Roma Premio Selezione Europea per la Poesia Edita (Utopia di
fine Novecento)
-Giugno
1998
Premio Lett. Nazionale Vivere il Mare – Vittorio G. Rossi 3° Ediz. -
S. Margherita Ligure (GE) Finalista Poesia Edita (Utopia di fine Novecento)
-Luglio
1998 Premio Biennale di Poesia e
Narrativa Massimiliano Kolbe 13° Edizione – Savigliano (CN) Segnalazione
Poesia Edita (Utopia di fine -Novecento)
-Novembre
1998 Premio
Letterario Internazionale Giovanni Gronchi 12° Edizione – Pontedera (PI) 1°
Premio ex aequo Soggetto Teatrale
-Dicembre
1998 Premio
Letterario Nazionale di Narrativa Ibiskos 1998 – Empoli (FI) Finalista
-Novembre
1999 Premio
Letterario Internazionale Giovanni Gronchi 13° Edizione – Pontedera (PI) 1°
Premio ex aequo Narrativa Genere Fantastico.
-Marzo
2001 Nomina di Membro Honoris Causa a vita
del Centro Divulgazione Arte e Poesia per gli alti meriti acquisiti, in
riconoscimento alla lodevole attività in favore della Cultura. Sutri (VT).
-Luglio 2002 Conferimento della nomina di Pioniere della Cultura Europea da parte dell’Unione Pionieri della Cultura Europea per gli alti meriti acquisiti, in riconoscimento alla lodevole attività svolta in favore della Cultura. Sutri (VT).
P
-Impulsi
e forma- Poesie di
-Utopia
di fine Novecento - Poesie di
-In
collaborazione con Enrico Ricciardi: Universi immaginati - Foto d’arte di
Enrico Ricciardi - Prose di
Le
opere di
Storia
della Letteratura Italiana – Il secondo Novecento - Guido Miano Editore –
Milano, 1998
P
-Antologia
Oltre Associazione Culturale Il Borghetto Montepulciano (SI) - 1994
-Antologia
di Poesie Il Cl
-Antologia
Poeti e Novellieri 1995 Silver Press Editore – Genova
-Antologia
Poesie in Cornice 1995 Montedit Editore – Melegnano (MI)
-Antologia
La
-Antologia
di Narrativa Pensieri d’Autore 2 Ibiskos Editrice – Empoli, 1998
-Antologia
Il Cantavita ’98 a cura del Circolo Avvenire – ANCOL – Savigliano (CN)
-Antologia
del Premio Letterario Fonopoli – Parole in movimento 1999/2000 – Montedit
– Melegnano (MI), 2000
-Quaderno
Letterario Antologico Artenuova per la Pace – Associazione d’Arte e Cultura
Artenuova – Propata (GE) – 2002
Recensioni
su riviste e giornali:
-7
maggio 1993
Il Secolo XIX del Levante: citazione per la premiazione al Premio Le
Caravelle.
-Estate
1993 Genova Magazine: Recensione e
intervista a E. Ricciardi. Citazione della collaborazione di P. Donato per la
realizzazione di Universi Immaginati.
-Settembre
1993 Il
Corriere Mercantile: recensione di Impulsi e Forma con fotografia del libro.
-18
ottobre 1993 Il
Secolo XIX di Genova: Annuncio della presentazione di Impulsi e Forma presso
l’Associazione degli Artisti di Genova.
-Dicembre
1993 Bacherontius:
Recensione di Impulsi e Forma.
-2
dicembre 1993 Il
Giornale: Recensione di Impulsi e Forma.
-Marzo/aprile
1994 Dialogo: motivazione del
premio speciale Dialogo e fotografia del libro Impulsi e Forma.
-6
aprile 1994
Il Tirreno: Citazione per la Premiazione del 1° Premio F. Bargagna.
-Giugno/agosto
1994
Dialogo: Citazione per la premiazione del Premio Dialogo, fotografia di
-Settembre/ott.
1994
Oggifuturo: Recensione di Impulsi e forma, fotografia del libro.
-Settembre/ott.
1994 Il Cl
-Novembre/dic.
1994
Il Cl
-Ottobre/dic.
1998 La Ballata:
Recensione di Utopia di fine Novecento con fotografia del libro.
-Dicembre
1999 Angeli
e poeti (rivista europea, editore Miano): Recensione di Utopia di fine
Novecento.
-Maggio/giugno
2000
Il Cl
-Settembre/ott.
2000 Il Cl
-21
Agosto 2002
Tuttosport: P
OPERE
Quel
giorno il professore aveva una gran fretta, vi erano molte probabilità di
arrivare in ritardo nello studio e per giunta ad attenderlo sarebbe stato un
nuovo paziente.
Godeva di ottima fama, il
professore; qualche minuto a uno dei più quotati analisti dell’intera nazione
si poteva, ind
Le
15,45: un quarto d’ora soltanto. Ce l’avrebbe fatta. Sicuramente. Infatti,
alle 16,00 in punto aprì la porta dello studio che dava nella sala d’aspetto.
“Avanti, prego.”
Entrò un uomo sulla quarantina, di media statura, piuttosto robusto, i
capelli un po’ incolti, la barba non fatta da un paio di giorni; ma, nel
complesso, si trattava di una persona abbastanza gradevole. Il professore,
impeccabile come sempre nel tono basso di voce, austero e pacato al contempo,
mentre chiudeva la porta, chiese all’uomo che si stava accomodando nella
poltrona di fronte alla scrivania:
“Dunque, lei è il signor…” fece una pausa, il professore, mentre
controllava nel taccuino, affinché il paziente potesse presentarsi da solo. Ma
vi fu soltanto una lunga pausa. Il signore pareva non volesse aprir bocca. Il
professore, alto e autorevole, si accingeva, ora, a sedersi sulla poltrona
rotante.
“Dunque, dicevo…” mentre continuava a fissare la pagina del
taccuino, per trovare il nome del paziente: “Dicevo che lei dovrebbe essere il
signor…” diede una rapida occhiata penetrante alla persona che sedeva
comodamente di fronte a lui, per indurla nuovamente ad autopresentarsi, ma che,
al momento, non nutriva alcuna intenzione di pronunciare parola. Il professore
si rassegnò e, sospirando, procedette da solo: “Allora, vediamo: oggi ne
abbiamo 16, sono le ore 16… sì, ecco, lei è il signor…”
“Scacco matto.” rispose inaspettatamente il paziente, intuendo che il
professore aveva ormai individuato il nome.
“Come dice, scusi?” chiese il professore.
“Scacco matto. Mi chiamo Scacco di cognome e sono matto. Ecco perché
son qui.”
Il professore, con fare distinto, per nulla turbato dalle parole del
paziente, chiuse l’agenda e la depose in un cassetto della scrivania.
Pensieroso, si lisciava ora la barba, cercando di studiare il curioso
personaggio che gli stava dinanzi. Infine si decise a dirgli:
“Per la prima parte delle affermazioni, posso convenire, constatando
che la mia segretaria ha appunto scritto ‘Signor Scacco’ sull’agenda; ma
il fatto che lei sia matto o meno, potremmo, eventualmente, dedurlo assieme
discorrendo un po’, non crede?”
“Benissimo, come vuole lei, professore. Ora le spiego: il mio cognome
è Scacco; non si può negare, perché, se si cerca sull’elenco telefonico, a
questo cognome corrispondono l’indirizzo e il numero di telefono che la sua
segretaria avrà annotato. Il nome attualmente non lo ricordo, ma anche quello
possiamo trovarlo sull’elenco telefonico. Sul fatto, poi, che io sono matto,
credo sia inutile discutere: se non lo fossi, in questo momento non sarei
qui.”
Dopo questa affermazione, seguì una sal
“Le dispiace se fumo, signor… Scacco?”
“Assolutamente, purché sia tabacco scozzese.”
“Guarda caso, nel pomeriggio, pur avendo a disposizione almeno una
decina di tipi di tabacco diversi, gradisco proprio una fumatina di Mc Baren.”
“Scozzese, appunto.”
“Certo, scozzese. Ma, la prego, signor Scacco, continui pure.”
Il signor Scacco, mentre osservava il professore caricare di tabacco la
pipa, si stava confortevolmente accovacciando all’interno della poltrona:
“Dunque, vediamo: attualmente siamo arrivati al punto che lei concorda
con me sul fatto che io sia Scacco, ma non ancora matto. E’ giusto,
professore?”
Il professore rifletteva in silenzio, tra una boccata di fumo e
l’altra. Certo, era grato al suo paziente di aver ottenuto il permesso di
fumare. Ma il tono di sfida con cui il Signor Scacco gli rivolgeva la parola lo
metteva leggermente a disagio.
“Certamente, signor Scacco. Ma… mi scusi, non potrebbe dirmi se
accusa disturbi, o quali problemi la hanno spinta fin qui? Non basta dire che,
siccome si trova nel mio studio, debba necessariamente esser matto. Per quanto
ne so io, lei potrebbe semplicemente avere una lieve nevrosi, oppure
essere tediato da una carenza di spirito d’iniziativa, condurre una
vita monotona e trovare stimolante farsi analizzare per ingannare il tempo.”
“In ogni caso, sarei innegabilmente matto.”
Una nuova risata irruppe dalla bocca del professore. Questa volta, però,
il professore era un po’ contrariato, anche se tentava di non darlo a vedere.
Non era affatto gratificante ridere da soli mentre il signor Scacco, serissimo,
lo guardava con aria interessata.
“Mi dica, professore, per quale motivo io non posso essere matto?”
“Ma gliel’ho detto: potrebbe anche essere la persona più pazza di
questo mondo, ma se non mi racconta qualcosa, se non mi dice quali disturbi ha,
sempre ammesso, ovviamente, che ne avverta, se lei non parla un po’, insomma,
come posso constatare che lei sia davvero matto?”
Potrebbe non constatarlo lei, ma io insisto, professore: io sono matto e
lei mi deve curare!”
Un’ulteriore difficoltà colse il professore. Non gli era mai capitato
nulla del genere. Pensò: ‘Quest’uomo ha bisogno di me quanto io, in questo
momento, del parere di un deltaplanista.’ Non ultima era, infatti, la
possibilità che il signor Scacco si divertisse a pigliarlo in giro. L’intuito
professionale non aveva mai tradito il professore e inoltre poteva contare su
un’esperienza trentennale. Tirò due boccate di fumo e, con fare gentile,
riprese il discorso.
“Allora, signor Scacco, mi parli di lei.”
“Cosa vuol sapere, professore?”
“Qualsiasi cosa, mi dica.”
“Qualsiasi cosa! E’ un po’ vago, professore.”
“Ebbene, ammettiamo pure che sia vago, ma bisogna pur iniziare un
discorso da un punto di partenza, no? E questo punto, sempre che non la
disturbi, lo scelga lei!”
Il signor Scacco rifletté per qualche secondo; dopo di che, con enfasi,
rispose:
“Scacco matto!”
“Il professore fece mezzo giro sulla poltrona rotante, tirando lunghe
boccate di fumo. Quando ritornò alla posizione iniziale, vide che il signor
Scacco lo stava osservando, incuriosito.
“A quando la rivincita?” si sentì domandare dal paziente.
“Come dice, scusi?”
“Immagino vorrà la rivincita, le spetta di diritto, visto che oggi ha
perso. Attenzione, però: potrei anche bluffare. Comunque, io le propongo di
prendere un appuntamento per la settimana prossima, o per l’altra, così potrà
sfidarmi nella rivincita. Mi dica lei, insomma.”
“Ah, certo, la rivincita, capisco.” Il professore guardò
l’orologio: erano le 16,20. “Come vuole, signor Scacco. Debbo, però,
avvertirla che ogni seduta dura quarantacinque minuti e lei, quindi, ha diritto
ad altri venticinque minuti di colloquio. La parcella non varia a seconda del
tempo impiegato per ogni seduta.”
“Ho capito. E a quanto ammonterebbe la parcella, professore?”
“Trecento.”
“Così poco? Ecco cinquecento lire. Tenga pure il resto.”
Cos’era, una battuta? Il professore era incredulo e incuriosito al
tempo stesso. Sorridendo, con pazienza specificò:
“No, non trecento lire, trecentomila!”
“Trecentomila lire per quarantacinque minuti di lavoro? Per quanto lei
possa essere altamente qualificato, non le sembra di chiedere un po’
troppo?”
“Ovviamente non la obbligo a darmi s
“Non c’è niente da ridere, caro professore!”
Il tono serio e minaccioso del paziente che, ormai alzato dalla sedia,
appoggiava le mani sulla scrivania, fece cambiare atteggiamento al professore,
il quale, di colpo, si alzò a sua volta, mostrandosi in tutta la propria
imponenza:
“Senta, signor Scacco matto…”
“Oh, finalmente! Vedo che anche lei ha riconosciuto che si tratta di
scacco matto! Ma solo ora, se n’è accorto, e solamente perché stiamo
parlando del suo onorario. Ma mi ascolti bene, professore: da quando in qua una
persona che vince deve pagare e quella che perde trarne profitto? Lei ha perso,
professore: ha ammesso che sono matto; ma io, come lei avrà capito, non sono
mai stato matto! E se consulterà l’elenco telefonico, potrà verificare che
non mi chiamo neanche Scacco, bensì Gerolamo De Santis. Mi dispiace, ma questa
volta ha proprio perso la partita! Il numero di telefono che ho dato alla sua
segretaria è comunque quello giusto, il mio.” Estrasse un biglietto da visita
dal taschino interno della giacca e lo posò sulla scrivania del professore.
“Quando vorrà la rivincita, mi chiami pure. Ma ricordi: per meritare la
parcella mi dovrà battere, altrimenti… Scacco matto!”
Questa volta fu il paziente, o presunto tale, a esplodere in una
fragorosa risata, mentre si dirigeva verso la porta.
“Arrivederci, o addio, mio caro professore. Tenga pure le cinquecento
lire; anzi, prenda anche queste, così potrà bersi un caffè alla mia
salute.”
E, continuando a sghignazzare, se ne andò, ma non senza aver prima
esclamato:
“Matto io: questa è davvero bella. Roba da matti!”
Il professore, sbigottito, raccolse il biglietto da visita lasciato dal
non gradito ospite e vi diede una rapida occhiata. Poi, preso dalla rabbia, lo
strappò in quattro e lo gettò nel cestino dei rifiuti. “Al diavolo!”
esclamò. Poi si sedette, e si calmò. Guardò l’ora: le 16,30. Il prossimo
appuntamento era fissato per le 16,45. Guardò in direzione della porta: la sua
attenzione si soffermò sul mobile di mogano antico, sopra il quale il singolare
personaggio aveva generosamente posato altre monete. Passarono circa dieci
secondi. Optò per uscire momentaneamente dallo studio, per dimenticare, al più
presto, quel singolare episodio. L’istinto lo guidò ad andare, sportivamente,
a prendersi un caffè.
Alle 16,40 il professore sedeva nuovamente alla scrivania, pronto per
continuare il suo lavoro.
Mai più, il professore, rivide quell’uomo, ma nitido, nella sua
memoria, rimase il ricordo di quello strano scacco s
...LAMUSICA...
Atto
unico in forma di dialogo
-
1° Premio Giovanni Gronchi 1998 -
Le
compagnie di teatro, le accademie, i produttori o i registi che volessero
allestirne una rappresentazione, sono pregati di contattare l'autore
all'indirizzo piero.donato@libero.it
Un
sipario blu notte si alza.
Le luci illuminano di blu, a poco a poco, lo sfondo di colore neutro.
Questo lentamente diviene, sotto l’azione delle luci, azzurro intenso.
Al centro del palco, seduti, i due interlocutori, A e B, ancora non si
vedono, o s’intravedono a causa dell’azione delle luci; le quali aumentano
gradualmente nel silenzio. (Il tutto durerà un minuto circa). Quando lo sfondo
viene interamente illuminato, altre luci si posano sui due personaggi in
silenzio, che appaiono inerti, afflosciati su due sedie, con la testa ciondoloni
verso il basso. Le luci su di essi, aumentando, sembrano dar loro energia; pian
piano il loro capo si alza ed essi, sempre seduti, acquistano, lentamente, una
posizione naturale (quella che più si addica agli attori, che paiono, ora, come
rinati, in piena libertà e autonomia).
A:
…La Musica…
B:
Ebbene?
A:
… (In silenzio riflette, assorto. Poi si volta di scatto verso B, e lo
osserva, sempre in silenzio).
B:
Dicevi, La Musica…?
A:
Nient’altro: …La Musica… (fa un gesto con entrambe le mani, un
libero gesto, soave e “pieno” al contempo. Dopo averle pronunciate, rimane
immobile per alcuni secondi: viene a formarsi una sospensione, nella pausa, che
crea un silenzio quasi metafisico).
B:
Vuoi dire qualcosa come: “La Musica è sacra”?
A:
Pressappoco. Ma, detto così come dici tu, non rende a sufficienza.
Quello che vorrei esprimere è proprio l’essenza della musica: ciò che viene
distillato dal motore che la genera!… Un po’ come fosse: “la musica che
pensa a se stessa”.
B:
Se stessa, se stessa! Cosa vuol dire se stessa? Non dimentichiamo che la
musica proviene da entità ben precise: il compositore, il musicista, il suo
strumento...
A:
Ecco, hai usato il termine giusto: “Entità”. Sebbene il termine, in
questo caso, non va usato per il compositore, il musicista e lo strumento; ma
per “Lei”, proprio per la Musica. Sì perché la Musica non vuol dire
musicista, non vuol dire compositore, tanto meno strumento. Questi possono
rappresentare la macchina, il motore, appunto; al più il carburante che ne fa
muovere gli ingranaggi. La Musica è un’altra cosa: è qualcosa che viene da
dentro di noi; anzi, a pensarci bene, non proviene nemmeno dall’interno. E’
qualcosa che viene dall’esterno, come un flusso, un vento di primavera…
qualcosa di preesistente in natura in modo informe, ma s
La
parte inferiore dello sfondo, illuminata da luci verdi, da azzurra
diviene verde. Lo sfondo appare ora verde in basso e azzurro in alto.
Contemporaneamente si ode, ben chiaro, il primo movimento della Sinfonia
Pastorale di Beethoven. Dopo circa un minuto il volume della musica, sfumando,
si riduce notevolmente, permettendo agli interlocutori di continuare a
dialogare.
Le
note della Pastorale accompagneranno, da ora, l’opera fino al termine della
scena prima.
B:
Sì, ho capito cosa vuoi dire. Ma allora il musicista… l’esecutore,
intendo…
A:
L’esecutore afferra il messaggio dell’autore, ma solo fisicamente. Lo
afferra con una mano, con un braccio, con tutto il corpo e lo fa suo. Se ne
impadronisce e ottiene di trasmetterlo suonando. Ma ciò che “trasmette”, in
realtà, non è ciò che ha percepito il compositore la prima volta che è stato
“invaso” dal flusso. E non è nemmeno ciò che quest’ultimo, tramite
correzioni, tagli, aggiunte, vuole comunicare mediante la stesura finale
dell’opera. E’ un’altra cosa ancora. Non solo, ma quello che il musicista
trasmetterà a noi, in qualità di ascoltatori, non sarà nemmeno ciò che egli
avrà in mente nel momento in cui suonerà, bensì quanto la nostra sensibilità
riuscirà a cogliere del flusso percepito. Una cosa diversa per ognuno di noi,
dunque; ma con un minimo comune denominatore, che è esattamente ciò che viene
fissato dal compositore sullo spartito.
Alcuni secondi di pausa. Poi B si alza dalla sedia e comincia a
camminare, riflettendo, mentre si liscia con una mano la barba. Dopo una ventina
di secondi riprende a parlare.
B:
Da quanto dici si potrebbe dedurre, ad esempio, che quando tu ascoltasti
la Pastorale per la prima volta…
A:
(Interrompendo B) In quel momento ascoltai qualcosa che, in effetti, già
conoscevo, qualcosa che era già mio.
B:
(Sorridendo, mentre si volta verso A) Ma no, aspetta: tu la Pastorale non
l’avevi ancora sentita…
A:
(Interrompendo B e additandolo) Tu lo dici. Ma non è così. In realtà
io conoscevo già la Pastorale. Come potrebbe essere altrimenti? Anch’io avevo
già avvertito quel flusso informe raggiungermi. Non so di preciso, lo ammetto,
sotto quale forma era rappresentato “il flusso”, la prima volta che lo
avvertii; e non sono nemmeno in grado di capire sotto quali sembianze ero
“io” quando ascoltai la
Pastorale di Beethoven per la prima volta…
B:
Aspetta: vuoi forse dire che questo flusso, rappresentato dalla
Pastorale, in realtà sia qualcosa che unisce vari individui, diverse
situazioni, differenti modi di esistere attraverso i tempi, i luoghi…
A:
(Alzandosi interrompe B, parlando con enfasi) Un forte vento di primavera
che arriva e spazza via tutto; non esistono più differenze, non esiste più la
molteplicità, ma tutto, grazie alla musica, viene avvolto e compreso entro
un'unica dimensione!
B:
(Alcuni secondi di riflessione). Ma allora, la prima volta che ho
ascoltato la Pastorale, è come… come se io… (pausa: B si ferma, bloccando
il discorso).
A:
Avanti, dillo! Perché t’interrompi? Hai paura, forse? Perché non ti
riesce di dire ciò che siamo noi tutti? Ciò che tu stesso sei?
B:
Può essere, lo ammetto: la prima volta che ascoltai la Pastorale, era
come se io fossi stato Beethoven nel momento in cui avvertì il flusso muoversi
attorno. Beethoven concepì di afferrare quel flusso, d’impadronirsene,
fissandolo su spartito…
A:
Ma solamente per non perderlo di vista. Sì, perché se non lo avesse
trascritto sullo spartito, quel flusso si sarebbe tramutato, per lui, in
un’ossessione. Una reale ossessione, dovuta a una pulsione informe derivata
dalla paura di perdere, una volta per sempre, le sensazioni provate nel momento
in cui fu invaso dal flusso. Si può dire che egli, in un certo senso, abbia
dovuto sopperire a quella strana pulsione, desiderando fortemente rivivere,
attraverso i tempi, le sensazioni provocate dal flusso stesso. Il risultato di
questo processo, determinerà la fermezza della volontà di Ludwig Van Beethoven.
B:
(Breve pausa di riflessione). Sicché noi abbiamo potuto ascoltarlo…
(si ferma un istante per riflettere).
A:
Grazie al fatto che lui, Beethoven, lo aveva percepito sotto forma di
“movimento ossessivo”, ma “s
B:
(Assorto) Sì, certo, ma… perché?
A:
Perché cosa?
B:
Perché doveva compiersi proprio con Beethoven?
A:
Perché questa domanda? Semplicemente è stato. Così come è stato tutto
il passato, con i suoi motivi e le imperfezioni. Semplicemente “è stato”;
così come “siamo” noi, come “è” il mondo e via dicendo.
B:
Va’ avanti.
A:
(Guardando B, anche A si fa assorto). Perché il mondo?… Perché questo
flusso?
B:
Perché il divenire?
A:
Forse… perché… (non trovando una risposta, si blocca, con un gesto
di disappunto).
B:
… il Divenire…
A:
Ho trovato!
B:
…? … (Di scatto volta il capo verso A, impaziente di ascoltarlo).
A:
La scissione: è come se noi fossimo nati a causa di una sorta di
scissione, avvenuta in un passato estremamente remoto. In principio era l’Uno;
ma qualcosa separò la sua esistenza primordiale.
B:
Certo, può essere. Ma cosa c’entra questo con…
A:
(Interrompendo) Con …La Musica…?
B:
Con la musica, appunto.
A:
No, aspetta, non “la musica”. Ma… (accompagnando la pausa con un
gesto della mano) …La Musica…. Prova a ripetere anche tu rispettando le
giuste pause.
B:
(Anch’egli accompagna la pausa, prima della parola, con un gesto) …La
Musica… (resta immobile, come se dovesse attendere l’accadimento di qualcosa
d’ignoto).
A:
Allora?
B:
Sì… Sì, forse c’entra. La scissione: …La Musica… evoca una
scissione avvenuta in passato. E rappresenta l’unione recuperata durante
l’azione dell’ascolto.
A:
(Annuisce soddisfatto: le parole di B sono la conferma di ciò che egli
ha appena espresso). …La Musica…, il ritorno all’unità…
B:
Il flusso del Divenire che si stringe attorno al cerchio che esso stesso
disegna.
A:
…La Musica…
B:
… Così…: soltanto l’evocazione, nel vuoto, del sostantivo che la
rappresenta: (si volta verso A, indicandolo con un dito).
A:
…La Musica…
B:
E ora ascolta: … Il Mondo…
A:
… Il Mondo…
B:
… L’Universo…
A:
… L’Universo Ordinato…
B:
… La Musica…
A:
… La Musica…
Il
volume della musica si alza; dopo alcuni secondi sfumano
le
luci e cala il sipario blu notte (questa volta costellato da
un’infinità
di puntini luminosi). La musica continuerà a udirsi anche dopo l’accensione
delle luci per il congedo della compagnia teatrale.
L’ARTE
NEL TERZO MILLENNIO
Una
domanda prima di tutto: cos’è Arte? La risposta: è possibile che, in
un’era tecnologica dove economia e mercato stabiliscono le leggi per
un’incontrastata sovranità, l’uomo abbia parzialmente dimenticato il reale
significato della parola arte. Per trovare una definizione pertinente, mi vien
fatto di propagare lo sguardo a ritroso nei tempi: mi piace considerare arte
ogni attività che si prefigga il raggiungimento della bellezza e della verità
tramite libertà di pensiero e autonomia di rappresentazioni. E ancora:
espressione umana del s
Quanto
influirono le scoperte e le considerazioni sull’inconscio da parte della
psicoanalisi, nel campo delle arti? Tanto, tantissimo; i manifesti delle varie
correnti dell'avanguardia parlano chiaro: simbolismo, surrealismo, dadaismo, c
Sì,
perché arte è qualcosa che esiste in natura, nulla di artificiale o
artificioso, dunque. L’arte è dentro di noi, non all’interno del computer o
di altri macchinari.
Né le significative scoperte della fisica quantistica hanno influenzato,
in maniera altrettanto significativa, qualcosa che non sia più di una piccola
frazione di percorso dell’arte del Novecento. Anch’io non rimasi immune dal
fascino del ritorno operato attraverso le necessarie teorie filosofiche di
Guitton attorno al Metarealismo, nell’ultimo decennio del Novecento. Non
bisogna dimenticare che il progresso tecnologico, con l’avvento del digitale,
ha intensificato le possibilità di addivenire a scoperte scientifiche in
maniera abnorme. E allora soltanto una voce metafisica sembrava dar corpo a
qualcosa di realmente consistente nell’edificio costituito tra i resti di
attività in continua mutazione e ricostruzione. Il risultato dell’opera
dell’artista, laddove avesse lasciato spiragli aperti alle voci del
metarealismo, altro non sarebbe stato che il raggiungimento di attività di
pensiero particolarmente speculative, vicine, sì, al progresso scientifico, un
po’ meno alle istanze della coscienza.
Allora,
l’Arte del Novecento, quella più vera, nel senso più attendibile, più
comunicativa, penso sia stato possibile percepire in maniera esaustiva nel
Teatro, allorché l’attore sia riuscito a vivere sul palcoscenico situazioni
incontaminate. (Becket, in questo campo, non resta forse un esempio convincente
di come si possa essere stati innovativi senza, al contempo, tralasciare gli
insegnamenti che la Storia e la vita ci abbiano trasmesso?). Un suggerimento
all’artista del nuovo millennio, in qualsiasi settore operi, potrebbe essere:
nel momento in cui crea, a prescindere dai risultati che otterrà (che, per
adesso, non ci interessa conoscere), dovrebbe riuscire ad astrarsi dalla realtà
cittadina; non importa se la situazione sia inserita o no in essa,
l’importante è riuscire a dare risposte utili, non emulative (anche se non
negli intenti) di malesseri ormai conclamati. L’Arte potrebbe essere ricercata
nella Natura, distante dalle macchine e dall’industria, lontana da un mercato
isterico e possessivo che tutto divora e niente perdona; un mercato che si erge
(o, perlomeno, che vorrebbe ergersi) a realtà contemporanea. Una realtà che,
come abbiamo visto, non è realtà vera, bensì virtuale. Testimoni sono i mezzi
di comunicazione sempre più celeri ed efficienti, tanto da farci dimenticare il
reale valore delle distanze. “Quanto tempo ci vuole per andare ai Caraibi? E
in Australia?” Le distanze non si misurano più attraverso lo spazio, ma
attraverso frazioni di tempo: “In Scozia solo poche ore? Allora la Scozia è
qui vicina.” Certo; un po' meno, però, se si decidesse di andarvi a piedi o a
cavallo.
Via
libera, dunque, anche alla possibilità di rivisitare correnti che abbiano
considerato l’Arte come scaturente da condizioni naturali, situazione
necessaria per sopperire alle carenze delle attività dell’uomo contemporaneo.
Troppo spesso si è caduti nella riproduzione di suoni e di rumori di macchinari
e di t
Ho
ascoltato l'ultimo CD di Fabio Bottaini, "Concerto
al Castello Pietralata",
pianista che propone, possiamo dirlo con sicurezza, una musica nuova,
nel vero senso della parola; e per nuova non intendo una musica che potrebbe
segnare una moda diversa da quelle che ci sono state fino ad oggi,
perché alcuna moda è cercata, fortunatamente, da questo artista, che, oserei
dire, è artista d'eccezione. Nessuna traccia di virtuosismo, anche se il
bagaglio tecnico è molto consistente, è cercata dal musicista: le sue
performance non sono esibizioni; al contrario, sono veri "incontri"
con le persone che ascoltano le sue improvvisazioni, e che vivono accadimenti
sonori in armonia con l'espressionalità dell'artista, e con l'interpretazione
del trascorrere dell'evento spazio-temporale che ne fa l'artista Bottaini,
in qualità di semplice essere umano a contatto con altri individui della propria
specie; lo scopo della sua ricerca, che, da quanto posso capire, giunge sempre a
risultati soddisfacenti ed attesi, è quello di raggiungere l'arte assieme all'ascoltatore,
senza eluderlo, dunque, ma assimilando l'energia che viene a crearsi in
quella determinata situazione (ogni volta differente dalle precedenti, perché
unica e irripetibile). L'ascoltatore collabora con il musicista, nel
comporre, anche se, ovviamente, in maniera indiretta.
Il
bagaglio di Fabio Bottaini nasce dal pop degli anni '70 (forse il decennio
più prodigo nei confronti di questo genere, ormai, nel corso degli anni, giunto a
livelli di largo consumo, fino a sfociare in una produzione da catena di
montaggio sonoro, a cui possiamo assistere ai giorni nostri);
l'artista Bottaini si evolve, nel suo cammino, sino a incontrare il jazz e a
proporlo, a livello professionale, dal 1985 al 1993, in un organico da trio
canonico (basso, batteria, piano). Ma l'evoluzione non finisce qui; la ricerca
musicale prosegue, anche in forma di "solo piano", come è nel
caso dell'edizione presa in esame, attraverso le registrazioni dal vivo eseguite
il 21 giugno 2002, al Castello
Pietralata, in provincia di Pesaro.
Bottaini non usa dare titoli ai suoi brani, ma li distingue attraverso una
collocazione numerica, a livello di data e di sequenzialità. Sicché i quattro
brani che compongono il CD, divengono:
21-6-02
- 1;
21-6-02
- 2;
21-6-02
- 3;
21-6-02
- 4.
Diciamo
s
Ho
rilevato, durante l'ascolto del CD, reminiscenze di stilemi usati da Chick
Corea, da Fredrich Chopin, da Keith Emerson; ma anche, in maniera minore, da
Rick Wakeman, da J. S. Bach, da Anthony Banks, da Keith Jarrett, da Claude
Debussy, da Luciano Berio, da Schoenberg. Come vedete il panorama è
nutritissimo, ancorché vario, ma sempre e comunque a costituire un tessuto
musicale altamente gradevole. E' musica che, ind
Nacqui
quando l’equilibrio si ruppe.
Era pace attorno. Ricordo che potevo ancora percepire gli attimi
evanescenti in cui regnava la stasi, esente dal movimento, senza oscillazioni.
Il ricordo stesso è un’oscillazione e rappresenta il varco attraverso il
quale l’onda prima può raggiungere, nel suo ritorno, gli equilibri statici.
Dopo la pace ricordo l’estasi, cioè la possibilità di avvertire la
bellezza e la perfezione di tali equilibri (non esiste nulla di più appagante
che vivere i momenti di quei meravigliosi stati estatici). Ma ormai l’onda
vibrava, in un processo binario; non era possibile albergare eternamente
nell’estasi, in quanto essa può solamente rappresentare il bene allo stato
puro. L’eternità (o il tutto o l’uno) può essere rappresentata, invece, da
uno stato di pace neutrale, dal quale appunto provengo, ma niente di più:
l’estasi, in quanto tale, per potersi affermare, deve necessariamente
confrontarsi con qualcosa di preesistente, nella funzione di contraltare. Ecco
quindi il motivo dell’evoluzione del processo binario: il tentativo di
superamento della condizione che prevede il continuo contrapporsi di situazioni
positive ad altre negative; soltanto dopo l’acquisizione di tale processo, si
svelerà la reale coscienza dello stato di quiete come univoca dimensione di
pace neutrale. Ecco perché il tempo.
L’immediata conseguenza dell’affermazione del processo binario, fu la
creazione di una volontà che tendesse a prolungare le sensazioni positive,
cercando di eliminare quelle negative (in pratica, la volontà non era altro che
ricerca di riprodurre lo stato di quiete nell’unione alla percezione del
bene). Ma l’esistenza di un metodo che prevedesse
l’alternanza del bene e del male risultò inevitabile: oramai gli equilibri
erano rotti, la dimensione unica divisa, per lasciare spazio allo spirito e alla
materia, al sogno e alla realtà.
L’uno (o il tutto, inteso nella forma di armonia statica) si dissolse
nell’evoluzione, affermandosi nelle possibilità alternative; che non
escludevano, dunque, il ricordo dell’armonia e della pace, ma che
rappresentavano la realizzazione del cambiamento. Si conobbe il piacere e il
dolore; si imposero i sensi: la materia diventò tangibile, l’estasi rimase un
sogno (un sogno al quale sia, però, possibile accedere attraverso l’amore,
attraverso, cioè, quello stadio intermedio tra il piacere dei sensi e
l’armonia dello spirito fra due diverse realtà).
Avendo, quindi, messo in d
Volli addentrarmi nell’avventura della vita. Inevitabile fu il
compromesso: per vivere è necessario anche morire, in quanto la materia, a
contatto con lo spirito, si trova in continua trasformazione; difficile, però,
vivendo accettare il pensiero della morte. Quindi, per cercare di distrarmi da
quest’idea, volli spingermi oltre i sensi, illudermi di poter raggiungere il
dominio totale della materia; ma non pervenni ad altro che a guerre e a
discordia.
La posizione di comando è possibile reggerla, ma solo fino a un certo
punto: fin dove e quando lo permettano le forze; e per contro la posizione
dominante crea necessariamente una controparte oppressa, dominata, appunto, a
volte sfruttata. Da qui la nascita di desideri di libertà, di eguaglianza, di
indipendenza che riescono ad affermarsi dopo varie e conflittuose fasi (la
volontà di rivalsa, la ribellione, il desiderio di distruzione della materia
dominata dalle classi dominanti) sino a raggiungere, finalmente, talvolta
attraverso rivoluzioni, più spesso (e, comunque, sperabilmente) attraverso
trattative e accordi, la libertà stessa.
Ma questa libertà, ovviamente, non può essere libertà assoluta, in
quanto nella vita non vi è nulla di assoluto, essendo ogni cosa in continua
evoluzione. Si tratta, quindi, di una porzione di libertà, di una libertà
apparente, poiché resta impossibile eliminare quantomeno le necessità della
trasformazione della materia, che in questo caso coincidono con l’affermazione
del sostentamento in vita, mediante l’istinto di conservazione.
La morte spaventa questa dimensione interposta fra spirito e materia che
è la vita, non tanto perché pone fine alla vita stessa, o per il dolore che
comporta la fase del trapasso, ma, soprattutto, perché rappresenta la sconfitta
della mia volontà originaria. Ma è qualcosa che devo accettare, se voglio
raggiungere nuovamente l’armonia: non più estasi, ma nuovamente pace, stasi.
Non si tratta, dunque, di raggiungere il tutto mediante il dominio sulla
materia, mediante l’illusione dei sensi, bensì attraverso l’unità sociale,
attraverso la ricerca dell’armonia della pace durante l’esperienza della
vita, cercando di non badare alle false opportunità che la vita stessa propone
alla mia volontà.
La vita, quindi, è un’esperienza dalla quale un giorno dovrò
congedarmi realizzando, come situazione d’inevitabile rimando, il ritorno,
attraverso il pensiero, mediante una sorta d’informazione per un’entità
sovrasensoriale, che non è natura che si esaurisce nell’atto del compimento
di un’azione, bensì coscienza capace di trarre, tramite l’ordine
dell’esistenza naturale, tutto ciò che di positivo sia possibile avvertire in
questa esperienza.
E così, come un’onda che si frange nella sabbia per poi essere
riportata, nel riflusso, all’immenso mare dal quale proviene, anch’io tornerò,
un giorno, al motivo originario che mi ha generato, conservando integra quella
preziosa stilla di amore che ho potuto conoscere in questo fantastico e
tempestoso viaggio della vita, un viaggio che mai, nonostante le avversità e i
desideri ai quali ho voluto sottopormi, è riuscito a distruggere
quell’armoniosa pace interiore che, come un intimo bene incommensurabile, ho
voluto gelosamente custodire intatta.
Franano
grida a dirompere,
straripano, la toccano,
urtano impietosamente.
(La coscienza risiede nel loro abisso).
Poi... sfuma.
E mentre limpidamente dilagano
i colori
appare in milioni di occhi sorpresi
e nasce.
(Da "Impulsi e forma")
MARE
Estraniato dal sasso
che spicca il volo
in un languire afferrato
dall'adorno di quiete illusioni.
E vederne il viso antico,
ricorrente, incalzante,
come se fosse il tempo
la nostra speranza recondita
lo scheletro che regge,
un piano sopra,
gli aneliti e le forze
come appesi a un quadro.
Virano i capitani
circondati da lamenti
e sterzate, tremendi
nel violento incedere,
mai pacati nella rotta.
Domani
l'amico infinito
li accudirà ancora
accogliendoli stanchi,
regalando loro il d
e l'eterna interpretazione
di amori
nascosti nella pietra del mito.
E noi qui,
figli di terra vacante,
speranze di motivi,
costrutto di sapore esperto,
di umili tentativi
nel mascherare
o nel lasciar trapelare
l'ingenuità nella purezza.
Che possa lei
regalarti l'insegnamento
fosco fermento
di rigogliose vestizioni
predate nell'intimo.
E,
solo,
con noi,
il mare,
il mito,
a scandire quel ritorno, ciclico
nel rimuovere la sabbia,
nel cambiarcene il passo,
nell'invito a ritrovarci in lei,
ad esprimerci per lei,
sabbia
di interminabili odori
di silenzi in movimento.
(Da "Impulsi e forma")
L'AMICO
Mi hai offerto il passo
entrando nella logica
determinandone l'importanza.
(Da
"Impulsi e forma
COMPOSIZIONE
Umido sibila uno sfilo di vento.
Luce generatrice
gli tendi accanto
all'esordio di possibilità.
Vi esprimi la materia
che assolida in forma corale.
Estratto il grido di composizione.
Transporto il calore
nel gelo di esistenza.
(Da "Impulsi e forma")
ALTROVE
L'origine
segnò una svolta.
La novità
crebbe di giorno in giorno,
ad ogni alba,
in ogni conferma in una luce di vittoria.
Ma la verità era altrove.
Noi sappiamo
che non esiste alcuna verità
senza un nostro cenno di fede.
Sappiamo che dagli astri,
anche se potessero un giorno appartenerci,
non potremmo trarre beneficio
più di quanto ora
da ciò di cui già siamo in possesso.
Noi sappiamo
di poter capovolgere ogni cosa
nel senso più profondo.
Tutto ciò che sappiamo
potrebbe essere niente.
Mai potremmo essere verità
se non in un attimo.
Ma la verità era altrove.
(Da "Impulsi e forma")
SILENZIO
Vivendo il silenzio
si odono enormi chiazze dorate.
Fantasioso pegno
è l'ignaro giorno di zelo
che,
operosamente,
ci produce.
(Da "Impulsi e forma
CREPUSCOLO
Sfumano
riverberi di vita
nella pausa dell'uomo.
Riflessi astrali
dischiudono
armonie
di civiltà
in espansione.
Sola
la notte
attende
al lume dell'oblio.
L'universo
(si rifugia)
si richiama nell'io.
(Da "Impulsi e forma
SIMULACRI
Terra:
ombra nascosta al sole.
Potessi r
che come uno sbattere di porta
mi trasuda stancamente
nell'enfasi di simulacri in espansione.
Se come da una lezione
potessi alzarmi da questa sedia
e scrivere nel foglio primigenio
l'esperienza che ancora mi discerne.
Potessi cantare per te,
terra,
scultura di illusioni,
veste di certezze,
teatro di ideali nascosti.
(Da "Utopia di fine Novecento")
IL
CONFINE
Il confine è un punto fermo
intoccabile
non appartiene a nessuno
è il giudice delle nostre azioni.
Il confine non è astrazione,
lo scegliamo assieme alla controparte
di comune accordo,
esiste proprio per farci andare d'accordo,
eppure...
Il confine è muto,
inappuntabile è sospeso lassù
nel mondo delle idee,
ma più di ogni altra cosa è presente tra noi
negli scambi, nei contatti quotidiani,
è materia impalpabile.
Il confine è utile per vivere
per poter sognare con i piedi per terra
per poter cantare armonia,
crea equilibrio,
ma il confine talvolta è torbido:
non trova ragione in un monito di parte,
ma sorge massiccio come una montagna
soltanto quando non cade dal cielo.
(Da "Utopia di fine Novecento")
CONFLITTI
Il silenzio
nella scia
di una deflagrazione.
Vite inermi
smorzate
da altrui sete di dominio
e da volontà soggiogate.
Vivo
e assisto
al riparo di una distanza
che è solo spazio.
Ma non scorge simboli o principi nella materia
la coscienza.
Vivo e assisto attonito,
non basta.
(Da "Utopia di fine Novecento")
LAGO
Onde vibratili
sfiorate.
E' silenzio vivo
(ciuffi d'acqua: animali madreterra).
Mi addentro.
Nel vento
(volatili)
echeggiano motivazioni del Qui.
(Da "Utopia di fine Novecento")
TEMPO
Orologio a pendolo tra monti
(latono prassi e routine)
apertura nottesperanza:
la vita scrive
(Da "Utopia di fine Novecento")
FOGLIE
Dirò
che il cielo
non mi aspetta
nello sguardo di un gabbiano
che stranito
trasecola
in traiettorie
senza meta.
Dirò
che l'uomo
che vive
tra le mie sazietà
d'animale
non è felice
nel giro di una mandata
che ogni mattina
lo spedisce
nel traffico,
nella routine,
via dal suo essere.
Dirò
che l'ombra
che mi cela
nel degrado circostante
non è sincera
con me
non è sincera
con la vita.
E vorrei
sentire
la Pace globale
nella bellezza dell'alba,
poter interpretare
ogni mio risveglio
nella sua unicità irripetibile,
ascoltare
le novità del giorno
levarsi lentamente,
vivere
ogni tramonto
nella sua essenziale serenità.
Dirò
che il tempo
non aspetta
perché la Vita
gli sfugge
inesorabile
come una secca
foglia
abbandonata,
dimenticata
in un ambiente agonizzante,
calpestata
secondo chissà quale principio.
(Da "Utopia di fine Novecento")
IL
SILENZIO
Da piccolo non trovavo quiete nel silenzio,
perché era non voluto, ma obbligato.
Eppure il silenzio non tradisce
semplicemente perché non ne è capace.
Se vuoi cercare purezza, bontà
o tutto ciò che è comparabile al candore
solo nella sincerità del silenzio
potrai trovarlo,
ma solo se veramente cercherai.
Non troverai nulla di diverso da ciò che cerchi
nel silenzio,
esso è nobile
perché dà sempre ciò che gli viene chiesto.
Ma il silenzio può essere un nemico mortale
perché è specchio inesorabile
e ti getta addosso ciò che sei,
ciò che non vorresti, forse.
Ti lascia solo
quando avido annaspi in una solitudine sottile
che non è che commiserazione di te stesso,
autocompiacimento.
Il silenzio oggi sa d'esser cosa rara,
poco importante,
quasi non voluta
perché non cercata.
Ma il silenzio ampiamente ripagherà
quando dal fondo spalancherà la porta alla tua voce
e sentirai il gemito mutarsi in polvere
e la fatica dissiparsi nell'attesa,
quando finalmente accetterai la tua immagine scarna
riflettersi dallo specchio,
quando non avrai più paura del futuro
perché futuro e passato saranno la stessa cosa.
Soltanto allora il silenzio restituirà in eco
la memoria di te stesso.
Il silenzio non ti tradirà
semplicemente perché non ne è capace.
(Da "Utopia di fine Novecento")
A
CINZIA
Come non poterti esser grato
per avermi donato la tua vita
per esserti mostrata nell'Essere.
Nel miel d'api
riconosco i tuoi capelli
custodi ineguagliabili
di ciò che traspare nel tempo.
(Da "Utopia di fine Novecento")
(Scritta
in occasione del primo compleanno di mia figlia Aurora).
Ancora ti guardo
mentre cerchi immaginari
disegnano le tue piccole membra
e suoni fantasiosi
ricama la tua voce.
Un anno fa nascevi:
tua madre schiudeva
la prima immagine di te
alle cinque della sera;
mi cercavi allora, in sala parto
e mi trovasti,
lontana dagli echi
del tuo stesso vagito.
E nel sorriso di oggi,
nell’azzurro delle tue iridi
ancora scorgo l’annuncio
di quella sera.
No, non chiedere mai
quale sia il tempo delle cose
ma vivi la tua gioia così, come adesso
e non ricordare, se puoi
ciò che potranno dirti di fare
perché ciò che Tu farai, è sicuro
diverrà, al tempo, lo sguardo dell’Aurora.
RITRATTO
DI NEVE
Soffice candore
ti accarezza il capo e le mani
avvolgendo spazi e valli circostanti,
vincendo le altitudini.
E ancora soffusamente cade
imbiancando orizzonti
e vaste catene montuose,
che s'immergono, lente, nella nebbia....
....nella nebbia trasparente
si schiude un richiamo alato,
sensazioni enfatiche si affermano,
gioie emergono da mondi intatti
e la tua voce s'innalza, figlia,
e i tuoi occhi,
giocando,
cantando,
s'illuminano in bianchi sorrisi
e si disfano in perle iridescenti.
Ancora un gesto meccanico
In questa fuggente penna a sfera
Affinché possa valicare
L’alto ostacolo del quotidiano.
Così ti desidero, fuori del tempo
Appoggiarsi leggera al foglio
E sparire tra le rapide dell’archetipo.
Ciò che vale nell’uomo
Si scoprirà nell’agguato di una prova:
in un volto in volo si schiuderà un sorriso
disegnando un sogno al limite del percorso.
EMERGENZA
JAZZ
Un bagno di suoni ti avvolge:
atmosfere amniotiche
danze primordiali,
la Musica non tradisce
perché l’armonia è poesia
e il ritmo l’anima del corpo.
Ascolta la tua anima,
ascolta il tuo corpo
ed esprimi la tua essenza
qui, ora.
Estendi il manto di suoni
attraverso tappeti di trombe e violini,
proponi la melodia
della parola non detta
su scale di piano smorzate.
Ricama il senso dell’idea
ed estranea il nemico della vita.
Incontra la dissolvenza del tempo
qui, ora.
Argentea
sfera notturna,
delinearsi
di chiari limiti
in
forma circolare,
a
chiazze ombrose ravvivi montagne e valli,
gole
e città;
illuminando
altezze incalcolabili,
divieni
canto e chiarore d'esistenza:
generi
il fato,
evochi
miti
ed
ogni tenebra si dissolve,
ogni
d
ed
ogni contorno,
ogni
limite
sfuma
disfandosi
in
purissima
ed
eterna
Luce.
GRAZIE
GIUSE
Ascolto parole muoversi
inconsuete, nella mano dei tuoi ricordi;
le folte ciglia si aggrottano
quando incespichi nel dolore della memoria.
E tutto riacquista il senso,
tutto ritorna:
la giovinezza,
la Storia,
l'incertezza del vivere...
la morte!
Ricordi d'aver visto passare sopra
gli aerei e
scendere bombe, a grappoli, e...
ammutolire.
Un sussulto.
Implode la tua mente.
E una lacrima piove sul tuo volto.
Gli occhi arrossati, la voce si arroca,
e tutto si ferma
nella tua pausa.
Poi, lo sguardo si riaccende;
un Pugno sul tavolo:
"è l'ora di andare" mi dici
abbozzando un sorriso.
Ti volti verso la porta,
un cenno della tua mano,
e un bacio è come se volessi mandarmi,
da lontano, ma…
non lo fai.
Non lo fai perché sono io, Giuse,
sono qui,
nel 2000.
Sono solo io.
E' finita…
E' tutto finito.
Vittoria!
CROLLO
(scritta in
occasione del crollo del muro di Berlino)
Claustrali immagini di Storia
generarono il tempio dello zarathustriano Apollo.
La vita rotolò,
rimbalzando sull’acume della roccia
assaporando l’avidità di un combustibile;
s
si superò,
sino ad accecarsi nello sguardo di Narciso.
Ah, gi
Sardonico olimpo, sei già collezione.
Camilla,
ricordo,
di te, l'ampio slancio, vitale
con
cui rincorrevi piccole palle
e
fogli accartocciati,
salti
e parate da campione insospettabile
donavi
agli occhi esterrefatti
d'umani
in ammirazione.
E
ricordo quando ti mostrasti a noi
per
la prima volta, piccola vita nascente
donataci
dal quieto amore materno
d'un docile,
sfuggente animaletto.
Canto
la tua presenza, qui
in
una casa che ancora ti vorrebbe
vivere
e gioire, attorniata
dai
salti d'un'ilare bimba
che
sempre ti serberà nel cuore.
SOLO
ALONE D’ INTERMINABILE CORSA ACCIDENTALE
Solo
alone d'interminabile corsa accidentale,
un
salto fuori del cerchio, come di partita
persa,
o vinta ai calci di rigore.
Un'ombra
indistinguibile, un gelo invernale,
un
nodo allo stomaco che, talvolta, si fa sentire.
E
ritrovarci ancora a parlare della luna,
in
un'estate rigogliosa, eternamente ridisegnata
da ragazzi
che vagano, la sera, nella felicità
di
un bacio intriso d'attimi luminescenti.
Pensare
all'alternanza delle cose,
all'umido
dei prati, alla rugiada,
al
tepore della tranquillità che incalza
a
metà strada, fra il ciclico e l'orizzonte.
Udir la
voce di tua figlia, che ti chiama.
E
in cielo una dissonanza
irrompe,
di reattore,
mentre
t'accomodi in poltrona,
e
tutto appare, splende,
e
il cielo è azzurro.
E
un breve spot,
veloce,
a ricordare
ancora
quell'alone,
di
tanto in tanto
tremula
foglia
all'imbrunire.
La
luna stasera è stranamente grigia;
non
chiedermi perché,
è
sempre la stessa storia,
che
di giorno in giorno,
di
anno in anno,
di
vita in vita si ripete.
Hanno
fatto un torto a una persona,
a
un numerino messo laggiù,
nel
piccolo angolo nascosto del taschino
di
una grande...
costruzione
sapiente.
Come
al solito si saprà fare boccone
del
piccolo numero,
ingoiare
d'un fiato,
e
sorridere ancora.
Ma
il lato oscuro della luna,
quello
grigio, lassù,
questa
sera è qui,
è
qui con noi
per
dire qualcosa di grigio
a
qualcuno.
VITA
E CONOSCENZA
1
La vita è uno stupendo viaggio attraverso regioni inaccessibili senza la
volontà di rinnovamento.
2
Non esisterebbe vita senza quell’ancestrale consapevolezza che ci
spinge oltre l’indifferenza.
3
Vivere significa accettare il risveglio dell’entità sensibile che
alberga in noi.
4
Vita è sinonimo di sentimento: senza quest’ultimo non esisterebbe
vita, ma soltanto piattezza e indifferenza.
5
Il sentimento è la forza motrice dell’Universo; il pensiero ne mostra
i limiti.
6
La novità è ciò che cerchiamo nel compimento dell’azione; essa è
una breve rappresentazione della vita.
7
Il piacere sensuale, in ogni sua forma, è il vero motivo per cui siamo
in vita, ma abusarne significa non accettare la conoscenza.
8
Le passioni possono esaltarci nel piacere sensuale, ma anche distoglierci
dalla conoscenza.
9
Abbandonarsi al vizio significa assaporare la vertigine più sfrenata
senza voler cogliere l’attimo che appaga.
10
Amare significa accogliere i più nobili sentimenti che nascono dalle
passioni. L’amore, quindi, pur nascendo dalle passioni, in breve se ne
distacca, per arrivare a superarle dominandole.
11
La conoscenza stabilisce i limiti della volontà, e si raggiunge
confrontando la volontà altrui con la nostra.
12
La conoscenza ci permette di crescere, quindi di vivere: accettarla
significa ospitare innumerevoli novità.
13
L’ordine, l’amore e la libertà sono condizioni senza le quali è
impossibile crescere.
14
L’istinto vitale rappresenta la nostra vera ricchezza; la conoscenza è
indispensabile per potervi convivere quando esso si propone nelle sembianze
altrui.
15
La differenza, in fondo, non è che un’illusione ottica: miope è colui
che non scorge se stesso ammirando o ascoltando gli altri.
16
La molteplicità non è che un inganno della vista: in realtà,
rappresenta il movimento dell’unità.
17
Volersi affermare individualmente equivale a non accettare la conoscenza,
ma fermarsi al limite dell’apparenza.
18
Il tornaconto è utile solamente per mettere alla prova la nostra buona
fede: con esso è possibile stabilire un principio di sintonia laddove questa
venga messa in discussione.
19
Saggio è colui che riesce ad ascoltare disinteressatamente la propria
voce.
PACE
E POTERE
20
Chi ha sete di potere avverte una distorsione della necessità del
dominio: è indispensabile imparare a dominare le proprie azioni, non quelle
altrui, dalle quali, nel peggiore dei casi, bisogna difendersi.
21
La felicità non si trova in natura, ma si conquista; essa rappresenta
l’affermazione della libertà.
22
La serenità esiste in natura ed è nostro compito difenderla.
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La conoscenza è indispensabile per rispettare ogni forma vivente diversa
da noi od ogni impulso diverso dai nostri, e quindi per vivere in uno stato di
pace. Nonostante ciò, resta impossibile praticare la Pace assoluta, perché non
vi è nulla di assoluto nella vita.
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E’ nostro compito tendere alla Pace assoluta, anche se essa non esiste
in natura.
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Non sempre è possibile dividere il bene dal male, ma, tramite la
conoscenza, è possibile raggiungere il dominio delle nostre azioni.
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Per raggiungere la pace è indispensabile la riflessione, mediante la
quale è possibile accrescere la conoscenza.
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L’invidia è uno dei sentimenti che maggiormente alimentano sete di
potere e discordia. Essa rappresenta uno dei più grandi ostacoli per il
raggiungimento della conoscenza.
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Saggezza è anche riconoscere e accettare i propri limiti.
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Chi è alimentato da sentimenti bellicosi e distruttivi ha bisogno di
aiuto, perché non solo non riesce ad accettare se stesso, ma si cerca, in modo
anomalo e distorto, disperatamente tra gli altri.
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Colui che non accetta chi è diverso da sé, qualunque sia il suo
pensiero, non è in grado di agire in favore della pace.
31
Facile è amare chi ci assomiglia! Ben più difficile è riuscirvi con
chi è diverso da noi. Tuttavia, solo così risulterà possibile costruire pace
e vivere per essa.
32
E’
giusto che un uomo accetti il potere soltanto se questa è la spontanea volontà
del popolo; inoltre è indispensabile, per meritarlo, non fare nulla per cercare
di raggiungerlo.
33
Accettare la guerra equivale a negare la conoscenza.
34
Non vi è nulla che possa giustificare chi dichiara guerra, in quanto si
rende responsabile dei più orribili quanto inutili crimini.
35
L’uomo, quando produce guerra, non è migliore degli altri animali, ma
enormemente peggiore, perché è in grado di causare effetti distruttivi capaci
di varcare ogni confine terreno.
36
L’uomo, quando agisce senza tener conto della coscienza (ovvero senza
accettare la conoscenza), non si distingue dagli animali, se non nelle
caratteristiche morfologiche e strutturali; ma questo, ovviamente, non è un
merito, ma soltanto uno stato di fatto.
37
Vantarsi per ciò che si è costruito equivale a vanificare l’intero
operato, perché si nega la conoscenza mediante la vanità o l’invidia.
38
La conoscenza, unita all’amore, può costituire esempi per ogni forma
vivente. Solo in questo modo l’uomo può eccellere tra gli esseri viventi; e
questi ultimi (anche se animali) a modo loro glielo riconosceranno, convivendo
in simbiosi con esso.
39
Grazie alla conoscenza è possibile comunicare con gli animali. Tuttavia
occorre rispettare le necessità di questi ultimi, affinché la comunicazione
possa essere costruttiva.
40
Il compito di ogni forma vivente è quello di costruire pace;
quest’ultima, infatti, rappresenta lo scopo della conoscenza. Facile intuire,
quindi, quale nobile e grande responsabilità sia insita nella natura
dell’Uomo, ossia insegnare la Pace alle forme viventi più ostili.
41
Costruire in favore della guerra equivale non solo a perdere tempo (in
quanto si può trascorrerlo, invece, in favore della pace), ma anche, a causa
dell’effetto distruttivo che il materiale bellico può portare, a vanificare
buona parte di ciò che è stato costruito in passato in favore della pace. In
pratica, lavorare per produrre guerra equivale a vivere nella maniera peggiore.
42
La memoria è utile quanto l’amore, nel fine di costruire pace, perché
permette l’esistenza della conoscenza; tuttavia ricordare troppo, a volte, può
risultare dannoso.
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Saggezza e conoscenza non sempre si accompagnano, ma sono entrambe
egualmente utili per costruire la pace.
44
Non sempre è utile restare fermi nelle proprie convinzioni, perché
potrebbe rivelarsi un forte ostacolo al dialogo e quindi alla pace.
DIO
E AMBIENTE
45
Dio è l’entità trascendente mediante la quale è possibile superare
l’indifferenza. Tuttavia non è indispensabile seguire una religione, per
costruire pace.
46
Dio rappresenta l’amore mediante il quale è possibile superare gli
ostacoli della vita.
47
Il limite della vita rappresenta il limite di Dio in questa esistenza.
Ecco perché la vita, attraverso la crescita, tende a superare i limiti posti
dall’esistenza.
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Credere in Dio può anche significare credere nelle potenzialità che
sopiscono in noi.
49
Le religioni possono rappresentare il sostegno della vita: attraverso la
fede è possibile abbattere il dolore estremo e superare gli ostacoli più
ardui.
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Nessuna religione è migliore di un’altra: assurdo è uccidere o
sacrificare la Vita altrui nel nome di Dio, in quanto Dio e Vita sono la stessa
cosa.
51
Progresso, scienza e tecnologia contribuiscono ad accrescere conoscenza e
benessere; tuttavia l’uso sfrenato che fa di esse l’uomo contemporaneo serve
esclusivamente a costruire comodità e potere economico, provocando, per contro,
forti scompensi ambientali.
52
Chi non ama l’ambiente in cui vive non ha stima di sé stesso.
53
L’uomo contemporaneo ha, nei confronti dell’ambiente naturale, grosse
responsabilità; è sconcertante osservare con quanta noncuranza tenda invece a
disfarsene.
54
Il fine ultimo dell’Uomo è quello di superare i bisogni e i desideri
del singolo, per raggiungere, attraverso la pace, il Tutto (o l’Uno). Tuttavia
è possibile conseguire questo scopo soltanto se è realmente frutto della
volontà individuale.
55
Saper vivere significa anche trovare il coraggio di imparare a morire
secondo le leggi dell’Universo conosciuto.
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E’ del tutto inutile temere oltremodo la morte, perché essa pone fine
soltanto a un breve percorso individuale, non certo al motivo dell’esistenza
umana, né, tanto meno, di quella dell’universo; ma rappresenta solamente una
fra le innumerevoli tappe dell’esistenza legata alle leggi universali.
IL
SORRISO
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Il sorriso è una goccia d’amore donata con saggezza.
58
Non vi è niente di più bello che ammirare un sorriso disinteressato.
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Un sorriso può cambiare il volto della vita.
60
Amare significa anche saper sorridere al momento giusto.