PIERO DONATO

 

 

BIOGRAFIA

 

Piero Donato , genovese nato nel 1960, scrive e collabora con Associazioni e riviste letterarie. Numerosi i riconoscimenti, nazionali e internazionali (ne annovera più di trenta); nel 2001 è stato nominato membro Honoris Causa a vita del "Centro Divulgazione Arte e Poesia", e nel 2002 nominato "Pioniere della Cultura Europea" dall'Unione Pionieri della Cultura Europea dell'antichissima città di Sutri. Nel 1993 ha p ub blicato la raccolta di poesie "Impulsi e forma" (Erga Edizioni, Genova) e nel 1997 la silloge "Utopia di fine Novecento" per la Ibiskos di Empoli, libri che gli hanno valso il 1° Premio "Franco Bargagna" 1994, il 1° Premio Speciale Internazionale "Associazione Artisti di Genova" 1994, il 2° Premio "G. Leopardi" 1995, il 2° Premio "Pirandello" 1995, il 2° Premio "Dante Alighieri" 1996, il Premio Selezione Europea "Carlo Goldoni" 1998 e molti altri. Numerosi i riconoscimenti anche nella narrativa, tra i quali il 1° Premio Internazionale "G. Gronchi" 1999 per la narrativa di genere fantastico. Con l'atto unico "...La Musica...", nel 1998 vinse il 1° Premio Internazionale "G. Gronchi" per il teatro. Sue opere compaiono in varie antologie e sono ricordate nella "Storia della Letteratura Italiana - Il secondo Novecento" (Miano, 1998). Numerose anche le recensioni da parte di importanti riviste del settore e quotidiani.

 

 

CURRICULUM

 

Riconoscimenti ricevuti:

 

-Maggio 1993            Premio Nazionale Le Caravelle 3° Edizione  Chiavari (GE)  2° Premio Poesia-

-Novembre1993        Premio Internazionale Associazione Artisti di Genova 1° Edizione  2° Premio Poesia ex aequo

-Novembre 1993       Premio Internazionale Associazione Artisti di Genova 1° Edizione 3° Premio Narrativa

-Febbraio 1994          Premio Internazionale Una Poesia per S. Valentino -Associazione Artisti di Genova 1° Premio Poesia ex aequo.

-Aprile 1994  Premio Internazionale Dialogo 5° Edizione - Olgiate Comasco Premio Speciale Poesia Edita (Impulsi e Forma)                     

-Aprile 1994  Premio Nazionale Franco Bargagna 12° Edizione – Pontedera (PI)  1° Premio Assoluto Poesia Edita (Impulsi e Forma)

-Giugno 1994            Premio Nazionale Le Caravelle 4° Edizione – S. Margherita Ligure (GE) Segnalazione Silloge inedita

-Giugno 1994            Premio Internazionale Il Poliziano 7° Edizione – Montepulciano (SI) 4° Premio Poesia

-Giugno 1994            Premio Internazionale Associazione Artisti di Genova 2° Edizione 1° Premio Speciale Poesia

-Giugno 1994            Premio Internazionale Cl ub degli Autori 2° Edizione – Melegnano (MI) Finalista Poesia

-Ottobre 1994           Premio Nazionale Incontro d’arte Autunno Veneziano – Venezia Premio Speciale Poesia Edita (Impulsi e Forma)

-Ottobre 1994           Premio Nazionale Incontro d’arte Autunno Veneziano – Venezia 3° Premio Silloge Inedita

-Ottobre 1994           Premio Nazionale Incontro d’arte Autunno Veneziano – Venezia Premio Speciale Narrativa

-Novembre 1994       Premio Internazionale Giovanni Gronchi 8° Edizione – Pontedera (PI) Premio Speciale Autori distinti in più sezioni

-Dicembre 1994        Premio Letterario Internazionale Omaggio a Giacomo Leopardi – Roma 2° Premio Poesia Edita (Impulsi e Forma)

-Ottobre 1995           Premio Nazionale La Campana – Avegno (GE) Segnalazione Poesia Inedita

-Novembre 1995       Premio Internazionale Omaggio a Pirandello – Roma 2° Premio Poesia Edita (Impulsi e Forma)

-Novembre 1995       Premio Internazionale Giovanni Gronchi 9° Edizione – Pontedera (PI) 5° Premio Narrativa Inedita

-Novembre 1995       Premio Letterario Il giro d’Italia delle Poesie in Cornice – Melegnano (MI)  Finalista

-Ottobre 1996           Premio Internazionale Omaggio a Dante Alighieri – Roma 2° Premio Poesia Edita (Impulsi e Forma)

-Ottobre 1996           Premio Internazionale Omaggio ad Alesssandro Manzoni – Roma Premio Edizioni Passaporto Duemila per la silloge inedita

-Novembre 1997       Premio Letterario Jaques Prevert di Narrativa Inedita – Melegnano (MI) Segnalazione della Giuria

-Novembre 1997       Premio Letterario Nazionale Città di Fucecchio – Fucecchio (FI) 3° Premio ex aequo Poesia Edita (Utopia di fine Novecento)

-Marzo 1998 Premio Letterario Nazionale Domenico Rea 2° Edizione – Empoli (FI) Segnalazione della Giuria per la Narrativa Inedita

-Aprile 1998  Premio Internazionale Omaggio a Carlo Goldoni – Roma Premio Selezione Europea per la Poesia Edita (Utopia di fine Novecento)

-Giugno 1998            Premio Lett. Nazionale Vivere il Mare – Vittorio G. Rossi 3° Ediz. - S. Margherita Ligure (GE) Finalista Poesia Edita (Utopia di fine Novecento)

-Luglio 1998  Premio Biennale di Poesia e Narrativa Massimiliano Kolbe 13° Edizione – Savigliano (CN) Segnalazione Poesia Edita (Utopia di fine -Novecento)

-Novembre 1998       Premio Letterario Internazionale Giovanni Gronchi 12° Edizione – Pontedera (PI) 1° Premio ex aequo Soggetto Teatrale

-Dicembre 1998        Premio Letterario Nazionale di Narrativa Ibiskos 1998 – Empoli (FI) Finalista

-Novembre 1999       Premio Letterario Internazionale Giovanni Gronchi 13° Edizione – Pontedera (PI) 1° Premio ex aequo Narrativa Genere Fantastico.

-Marzo 2001 Nomina di Membro Honoris Causa a vita del Centro Divulgazione Arte e Poesia per gli alti meriti acquisiti, in riconoscimento alla lodevole attività in favore della Cultura. Sutri (VT).

-Luglio 2002  Conferimento della nomina di Pioniere della Cultura Europea da parte dell’Unione Pionieri della Cultura Europea per gli alti meriti acquisiti, in riconoscimento alla lodevole attività svolta in favore della Cultura. Sutri (VT).

 

P ub blicazioni personali:

 

-Impulsi e forma- Poesie di Piero Donato -Illustrazioni di Enrico Ricciardi - Erga Edizioni – Genova, luglio 1993

 

 

-Utopia di fine Novecento - Poesie di Piero Donato - Ibiskos Editrice – Empoli, ottobre 1997

 

 

-In collaborazione con Enrico Ricciardi: Universi immaginati - Foto d’arte di Enrico Ricciardi - Prose di Piero Donato - Tormena Editore –  Genova, luglio 1993

 

Le opere di Piero Donato sono citate e commentate nella:

 

Storia della Letteratura Italiana – Il secondo Novecento - Guido Miano Editore – Milano, 1998

 

 

P ub blicazioni su antologie:

 

-Antologia Oltre Associazione Culturale Il Borghetto Montepulciano (SI) - 1994

-Antologia di Poesie Il Cl ub degli Autori 1994/95 Montedit Editore - Melegnanno (MI)

-Antologia Poeti e Novellieri 1995 Silver Press Editore – Genova

-Antologia Poesie in Cornice 1995 Montedit Editore – Melegnano (MI)

-Antologia La Poesia Contemporanea – Scrittori Italiani del secondo Dopoguerra Guido Miano Editore – Milano, 1997

-Antologia di Narrativa Pensieri d’Autore 2 Ibiskos Editrice – Empoli, 1998

-Antologia Il Cantavita ’98 a cura del Circolo Avvenire – ANCOL – Savigliano (CN)

-Antologia del Premio Letterario Fonopoli – Parole in movimento 1999/2000 – Montedit – Melegnano (MI), 2000

-Quaderno Letterario Antologico Artenuova per la Pace – Associazione d’Arte e Cultura Artenuova – Propata (GE) – 2002

 

 

Recensioni su riviste e giornali:

 

-7 maggio 1993         Il Secolo XIX del Levante: citazione per la premiazione al Premio Le Caravelle.

-Estate 1993  Genova Magazine: Recensione e intervista a E. Ricciardi. Citazione della collaborazione di P. Donato per la realizzazione di Universi Immaginati.

-Settembre 1993        Il Corriere Mercantile: recensione di Impulsi e Forma con fotografia del libro.

-18 ottobre 1993       Il Secolo XIX di Genova: Annuncio della presentazione di Impulsi e Forma presso l’Associazione degli Artisti di Genova.

-Dicembre 1993        Bacherontius: Recensione di Impulsi e Forma.

-2 dicembre 1993      Il Giornale: Recensione di Impulsi e Forma.

-Marzo/aprile 1994   Dialogo: motivazione del premio speciale Dialogo e fotografia del libro Impulsi e Forma.

-6 aprile 1994            Il Tirreno: Citazione per la Premiazione del 1° Premio F. Bargagna.

-Giugno/agosto 1994            Dialogo: Citazione per la premiazione del Premio Dialogo, fotografia di Piero Donato e consorte.

-Settembre/ott. 1994             Oggifuturo: Recensione di Impulsi e forma, fotografia del libro.

-Settembre/ott. 1994 Il Cl ub degli Autori: Recensione di Impulsi e Forma.

-Novembre/dic. 1994           Il Cl ub degli Autori: Recensione e presentazione di alcune poesie tratte da Impulsi e Forma.

-Ottobre/dic. 1998    La Ballata: Recensione di Utopia di fine Novecento con fotografia del libro.

-Dicembre  1999       Angeli e poeti (rivista europea, editore Miano): Recensione di Utopia di fine Novecento.

-Maggio/giugno 2000            Il Cl ub degli Autori: Recensione di Utopia di fine Novecento.

-Settembre/ott. 2000 Il Cl ub degli Autori: Presentazione di poesie inedite ed haiku di Piero Donato .

-21 Agosto 2002        Tuttosport: P ub blicazione di poesia inedita di carattere sportivo e relativa recensione.

 

 

 

 

OPERE

 

SCACCO MATTO

 

Quel giorno il professore aveva una gran fretta, vi erano molte probabilità di arrivare in ritardo nello studio e per giunta ad attenderlo sarebbe stato un nuovo paziente.

         Godeva di ottima fama, il professore; qualche minuto a uno dei più quotati analisti dell’intera nazione si poteva, ind ub biamente, perdonare. Ma il professore era fatto così: l’immagine prima di tutto. Era quella la base su cui poggiava il suo successo. Unita, ovviamente, a indiscusse capacità professionali.

Le 15,45: un quarto d’ora soltanto. Ce l’avrebbe fatta. Sicuramente. Infatti, alle 16,00 in punto aprì la porta dello studio che dava nella sala d’aspetto.

        “Avanti, prego.”

        Entrò un uomo sulla quarantina, di media statura, piuttosto robusto, i capelli un po’ incolti, la barba non fatta da un paio di giorni; ma, nel complesso, si trattava di una persona abbastanza gradevole. Il professore, impeccabile come sempre nel tono basso di voce, austero e pacato al contempo, mentre chiudeva la porta, chiese all’uomo che si stava accomodando nella poltrona di fronte alla scrivania:

        “Dunque, lei è il signor…” fece una pausa, il professore, mentre controllava nel taccuino, affinché il paziente potesse presentarsi da solo. Ma vi fu soltanto una lunga pausa. Il signore pareva non volesse aprir bocca. Il professore, alto e autorevole, si accingeva, ora, a sedersi sulla poltrona rotante.

        “Dunque, dicevo…” mentre continuava a fissare la pagina del taccuino, per trovare il nome del paziente: “Dicevo che lei dovrebbe essere il signor…” diede una rapida occhiata penetrante alla persona che sedeva comodamente di fronte a lui, per indurla nuovamente ad autopresentarsi, ma che, al momento, non nutriva alcuna intenzione di pronunciare parola. Il professore si rassegnò e, sospirando, procedette da solo: “Allora, vediamo: oggi ne abbiamo 16, sono le ore 16… sì, ecco, lei è il signor…”

        “Scacco matto.” rispose inaspettatamente il paziente, intuendo che il professore aveva ormai individuato il nome.

        “Come dice, scusi?” chiese il professore.

        “Scacco matto. Mi chiamo Scacco di cognome e sono matto. Ecco perché son qui.”

        Il professore, con fare distinto, per nulla turbato dalle parole del paziente, chiuse l’agenda e la depose in un cassetto della scrivania. Pensieroso, si lisciava ora la barba, cercando di studiare il curioso personaggio che gli stava dinanzi. Infine si decise a dirgli:

        “Per la prima parte delle affermazioni, posso convenire, constatando che la mia segretaria ha appunto scritto ‘Signor Scacco’ sull’agenda; ma il fatto che lei sia matto o meno, potremmo, eventualmente, dedurlo assieme discorrendo un po’, non crede?”

        “Benissimo, come vuole lei, professore. Ora le spiego: il mio cognome è Scacco; non si può negare, perché, se si cerca sull’elenco telefonico, a questo cognome corrispondono l’indirizzo e il numero di telefono che la sua segretaria avrà annotato. Il nome attualmente non lo ricordo, ma anche quello possiamo trovarlo sull’elenco telefonico. Sul fatto, poi, che io sono matto, credo sia inutile discutere: se non lo fossi, in questo momento non sarei qui.”

        Dopo questa affermazione, seguì una sal ub re risatina del professore, il quale, nel prendere tempo, tirò fuori da un cassetto della scrivania una pipa.

        “Le dispiace se fumo, signor… Scacco?”

        “Assolutamente, purché sia tabacco scozzese.”

        “Guarda caso, nel pomeriggio, pur avendo a disposizione almeno una decina di tipi di tabacco diversi, gradisco proprio una fumatina di Mc Baren.”

        “Scozzese, appunto.”

        “Certo, scozzese. Ma, la prego, signor Scacco, continui pure.”

        Il signor Scacco, mentre osservava il professore caricare di tabacco la pipa, si stava confortevolmente accovacciando all’interno della poltrona:

        “Dunque, vediamo: attualmente siamo arrivati al punto che lei concorda con me sul fatto che io sia Scacco, ma non ancora matto. E’ giusto, professore?”

        Il professore rifletteva in silenzio, tra una boccata di fumo e l’altra. Certo, era grato al suo paziente di aver ottenuto il permesso di fumare. Ma il tono di sfida con cui il Signor Scacco gli rivolgeva la parola lo metteva leggermente a disagio.

        “Certamente, signor Scacco. Ma… mi scusi, non potrebbe dirmi se accusa disturbi, o quali problemi la hanno spinta fin qui? Non basta dire che, siccome si trova nel mio studio, debba necessariamente esser matto. Per quanto ne so io, lei potrebbe semplicemente avere una lieve nevrosi, oppure  essere tediato da una carenza di spirito d’iniziativa, condurre una vita monotona e trovare stimolante farsi analizzare per ingannare il tempo.”

        “In ogni caso, sarei innegabilmente matto.”

        Una nuova risata irruppe dalla bocca del professore. Questa volta, però, il professore era un po’ contrariato, anche se tentava di non darlo a vedere. Non era affatto gratificante ridere da soli mentre il signor Scacco, serissimo, lo guardava con aria interessata.

        “Mi dica, professore, per quale motivo io non posso essere matto?”

        “Ma gliel’ho detto: potrebbe anche essere la persona più pazza di questo mondo, ma se non mi racconta qualcosa, se non mi dice quali disturbi ha, sempre ammesso, ovviamente, che ne avverta, se lei non parla un po’, insomma, come posso constatare che lei sia davvero matto?”

        Potrebbe non constatarlo lei, ma io insisto, professore: io sono matto e lei mi deve curare!”

        Un’ulteriore difficoltà colse il professore. Non gli era mai capitato nulla del genere. Pensò: ‘Quest’uomo ha bisogno di me quanto io, in questo momento, del parere di un deltaplanista.’ Non ultima era, infatti, la possibilità che il signor Scacco si divertisse a pigliarlo in giro. L’intuito professionale non aveva mai tradito il professore e inoltre poteva contare su un’esperienza trentennale. Tirò due boccate di fumo e, con fare gentile, riprese il discorso.

        “Allora, signor Scacco, mi parli di lei.”

        “Cosa vuol sapere, professore?”

        “Qualsiasi cosa, mi dica.”

        “Qualsiasi cosa! E’ un po’ vago, professore.”

        “Ebbene, ammettiamo pure che sia vago, ma bisogna pur iniziare un discorso da un punto di partenza, no? E questo punto, sempre che non la disturbi, lo scelga lei!”

        Il signor Scacco rifletté per qualche secondo; dopo di che, con enfasi, rispose:

        “Scacco matto!”

        “Il professore fece mezzo giro sulla poltrona rotante, tirando lunghe boccate di fumo. Quando ritornò alla posizione iniziale, vide che il signor Scacco lo stava osservando, incuriosito.

        “A quando la rivincita?” si sentì domandare dal paziente.

        “Come dice, scusi?”

        “Immagino vorrà la rivincita, le spetta di diritto, visto che oggi ha perso. Attenzione, però: potrei anche bluffare. Comunque, io le propongo di prendere un appuntamento per la settimana prossima, o per l’altra, così potrà sfidarmi nella rivincita. Mi dica lei, insomma.”

        “Ah, certo, la rivincita, capisco.” Il professore guardò l’orologio: erano le 16,20. “Come vuole, signor Scacco. Debbo, però, avvertirla che ogni seduta dura quarantacinque minuti e lei, quindi, ha diritto ad altri venticinque minuti di colloquio. La parcella non varia a seconda del tempo impiegato per ogni seduta.”

        “Ho capito. E a quanto ammonterebbe la parcella, professore?”

        “Trecento.”

        “Così poco? Ecco cinquecento lire. Tenga pure il resto.”

        Cos’era, una battuta? Il professore era incredulo e incuriosito al tempo stesso. Sorridendo, con pazienza specificò:

        “No, non trecento lire, trecentomila!”

        “Trecentomila lire per quarantacinque minuti di lavoro? Per quanto lei possa essere altamente qualificato, non le sembra di chiedere un po’ troppo?”

        “Ovviamente non la obbligo a darmi s ub ito il denaro. Però è giusto che conosca il mio onorario.”

        “Non c’è niente da ridere, caro professore!”

        Il tono serio e minaccioso del paziente che, ormai alzato dalla sedia, appoggiava le mani sulla scrivania, fece cambiare atteggiamento al professore, il quale, di colpo, si alzò a sua volta, mostrandosi in tutta la propria imponenza:

        “Senta, signor Scacco matto…”

        “Oh, finalmente! Vedo che anche lei ha riconosciuto che si tratta di scacco matto! Ma solo ora, se n’è accorto, e solamente perché stiamo parlando del suo onorario. Ma mi ascolti bene, professore: da quando in qua una persona che vince deve pagare e quella che perde trarne profitto? Lei ha perso, professore: ha ammesso che sono matto; ma io, come lei avrà capito, non sono mai stato matto! E se consulterà l’elenco telefonico, potrà verificare che non mi chiamo neanche Scacco, bensì Gerolamo De Santis. Mi dispiace, ma questa volta ha proprio perso la partita! Il numero di telefono che ho dato alla sua segretaria è comunque quello giusto, il mio.” Estrasse un biglietto da visita dal taschino interno della giacca e lo posò sulla scrivania del professore. “Quando vorrà la rivincita, mi chiami pure. Ma ricordi: per meritare la parcella mi dovrà battere, altrimenti… Scacco matto!”

        Questa volta fu il paziente, o presunto tale, a esplodere in una fragorosa risata, mentre si dirigeva verso la porta.

        “Arrivederci, o addio, mio caro professore. Tenga pure le cinquecento lire; anzi, prenda anche queste, così potrà bersi un caffè alla mia salute.”

        E, continuando a sghignazzare, se ne andò, ma non senza aver prima esclamato:

        “Matto io: questa è davvero bella. Roba da matti!”

        Il professore, sbigottito, raccolse il biglietto da visita lasciato dal non gradito ospite e vi diede una rapida occhiata. Poi, preso dalla rabbia, lo strappò in quattro e lo gettò nel cestino dei rifiuti. “Al diavolo!” esclamò. Poi si sedette, e si calmò. Guardò l’ora: le 16,30. Il prossimo appuntamento era fissato per le 16,45. Guardò in direzione della porta: la sua attenzione si soffermò sul mobile di mogano antico, sopra il quale il singolare personaggio aveva generosamente posato altre monete. Passarono circa dieci secondi. Optò per uscire momentaneamente dallo studio, per dimenticare, al più presto, quel singolare episodio. L’istinto lo guidò ad andare, sportivamente, a prendersi un caffè.

        Alle 16,40 il professore sedeva nuovamente alla scrivania, pronto per continuare il suo lavoro.

        Mai più, il professore, rivide quell’uomo, ma nitido, nella sua memoria, rimase il ricordo di quello strano scacco s ub ito: uno scacco tutt’altro che matto.

 

...LAMUSICA...

Atto unico in forma di dialogo

 

- 1° Premio Giovanni Gronchi 1998 -


Le compagnie di teatro, le accademie, i produttori o i registi che volessero allestirne una rappresentazione, sono pregati di contattare l'autore all'indirizzo piero.donato@libero.it


Un sipario blu notte si alza.

        Le luci illuminano di blu, a poco a poco, lo sfondo di colore neutro. Questo lentamente diviene, sotto l’azione delle luci, azzurro intenso.

        Al centro del palco, seduti, i due interlocutori, A e B, ancora non si vedono, o s’intravedono a causa dell’azione delle luci; le quali aumentano gradualmente nel silenzio. (Il tutto durerà un minuto circa). Quando lo sfondo viene interamente illuminato, altre luci si posano sui due personaggi in silenzio, che appaiono inerti, afflosciati su due sedie, con la testa ciondoloni verso il basso. Le luci su di essi, aumentando, sembrano dar loro energia; pian piano il loro capo si alza ed essi, sempre seduti, acquistano, lentamente, una posizione naturale (quella che più si addica agli attori, che paiono, ora, come rinati, in piena libertà e autonomia).

A:     …La Musica…

B:     Ebbene?

A:     … (In silenzio riflette, assorto. Poi si volta di scatto verso B, e lo osserva, sempre in silenzio).

B:     Dicevi, La Musica…?

A:     Nient’altro: …La Musica… (fa un gesto con entrambe le mani, un libero gesto, soave e “pieno” al contempo. Dopo averle pronunciate, rimane immobile per alcuni secondi: viene a formarsi una sospensione, nella pausa, che crea un silenzio quasi metafisico).

B:     Vuoi dire qualcosa come: “La Musica è sacra”?

A:     Pressappoco. Ma, detto così come dici tu, non rende a sufficienza. Quello che vorrei esprimere è proprio l’essenza della musica: ciò che viene distillato dal motore che la genera!… Un po’ come fosse: “la musica che pensa a se stessa”.

B:     Se stessa, se stessa! Cosa vuol dire se stessa? Non dimentichiamo che la musica proviene da entità ben precise: il compositore, il musicista, il suo strumento...

A:     Ecco, hai usato il termine giusto: “Entità”. Sebbene il termine, in questo caso, non va usato per il compositore, il musicista e lo strumento; ma per “Lei”, proprio per la Musica. Sì perché la Musica non vuol dire musicista, non vuol dire compositore, tanto meno strumento. Questi possono rappresentare la macchina, il motore, appunto; al più il carburante che ne fa muovere gli ingranaggi. La Musica è un’altra cosa: è qualcosa che viene da dentro di noi; anzi, a pensarci bene, non proviene nemmeno dall’interno. E’ qualcosa che viene dall’esterno, come un flusso, un vento di primavera… qualcosa di preesistente in natura in modo informe, ma s ub lime. Poi noi questo flusso, questa natura informe la elaboriamo, è vero; ma al solo scopo di renderla “comunicabile”. Così come elaboriamo un concetto, un’istanza, mutandoli in discorso, in domanda; ma al solo scopo di poter comunicare. Ecco, hai presente la “pastorale” di Beethoven?

La parte inferiore dello sfondo, illuminata da luci verdi, da azzurra  diviene verde. Lo sfondo appare ora verde in basso e azzurro in alto. Contemporaneamente si ode, ben chiaro, il primo movimento della Sinfonia Pastorale di Beethoven. Dopo circa un minuto il volume della musica, sfumando, si riduce notevolmente, permettendo agli interlocutori di continuare a dialogare.

Le note della Pastorale accompagneranno, da ora, l’opera fino al termine della scena prima.

B:     Sì, ho capito cosa vuoi dire. Ma allora il musicista… l’esecutore, intendo…

A:     L’esecutore afferra il messaggio dell’autore, ma solo fisicamente. Lo afferra con una mano, con un braccio, con tutto il corpo e lo fa suo. Se ne impadronisce e ottiene di trasmetterlo suonando. Ma ciò che “trasmette”, in realtà, non è ciò che ha percepito il compositore la prima volta che è stato “invaso” dal flusso. E non è nemmeno ciò che quest’ultimo, tramite correzioni, tagli, aggiunte, vuole comunicare mediante la stesura finale dell’opera. E’ un’altra cosa ancora. Non solo, ma quello che il musicista trasmetterà a noi, in qualità di ascoltatori, non sarà nemmeno ciò che egli avrà in mente nel momento in cui suonerà, bensì quanto la nostra sensibilità riuscirà a cogliere del flusso percepito. Una cosa diversa per ognuno di noi, dunque; ma con un minimo comune denominatore, che è esattamente ciò che viene fissato dal compositore sullo spartito.

        Alcuni secondi di pausa. Poi B si alza dalla sedia e comincia a camminare, riflettendo, mentre si liscia con una mano la barba. Dopo una ventina di secondi riprende a parlare.

B:     Da quanto dici si potrebbe dedurre, ad esempio, che quando tu ascoltasti la Pastorale per la prima volta…

A:     (Interrompendo B) In quel momento ascoltai qualcosa che, in effetti, già conoscevo, qualcosa che era già mio.

B:     (Sorridendo, mentre si volta verso A) Ma no, aspetta: tu la Pastorale non l’avevi ancora sentita…

A:     (Interrompendo B e additandolo) Tu lo dici. Ma non è così. In realtà io conoscevo già la Pastorale. Come potrebbe essere altrimenti? Anch’io avevo già avvertito quel flusso informe raggiungermi. Non so di preciso, lo ammetto, sotto quale forma era rappresentato “il flusso”, la prima volta che lo avvertii; e non sono nemmeno in grado di capire sotto quali sembianze ero “io” quando  ascoltai la Pastorale di Beethoven per la prima volta…

B:     Aspetta: vuoi forse dire che questo flusso, rappresentato dalla Pastorale, in realtà sia qualcosa che unisce vari individui, diverse situazioni, differenti modi di esistere attraverso i tempi, i luoghi…

A:     (Alzandosi interrompe B, parlando con enfasi) Un forte vento di primavera che arriva e spazza via tutto; non esistono più differenze, non esiste più la molteplicità, ma tutto, grazie alla musica, viene avvolto e compreso entro un'unica dimensione!

B:     (Alcuni secondi di riflessione). Ma allora, la prima volta che ho ascoltato la Pastorale, è come… come se io… (pausa: B si ferma, bloccando il discorso).

A:     Avanti, dillo! Perché t’interrompi? Hai paura, forse? Perché non ti riesce di dire ciò che siamo noi tutti? Ciò che tu stesso sei?

B:     Può essere, lo ammetto: la prima volta che ascoltai la Pastorale, era come se io fossi stato Beethoven nel momento in cui avvertì il flusso muoversi attorno. Beethoven concepì di afferrare quel flusso, d’impadronirsene, fissandolo su spartito…

A:     Ma solamente per non perderlo di vista. Sì, perché se non lo avesse trascritto sullo spartito, quel flusso si sarebbe tramutato, per lui, in un’ossessione. Una reale ossessione, dovuta a una pulsione informe derivata dalla paura di perdere, una volta per sempre, le sensazioni provate nel momento in cui fu invaso dal flusso. Si può dire che egli, in un certo senso, abbia dovuto sopperire a quella strana pulsione, desiderando fortemente rivivere, attraverso i tempi, le sensazioni provocate dal flusso stesso. Il risultato di questo processo, determinerà la fermezza della volontà di Ludwig Van Beethoven.

B:     (Breve pausa di riflessione). Sicché noi abbiamo potuto ascoltarlo… (si ferma un istante per riflettere).

A:     Grazie al fatto che lui, Beethoven, lo aveva percepito sotto forma di “movimento ossessivo”, ma “s ub lime” al contempo. Era qualcosa, infine, che doveva compiersi.

B:     (Assorto) Sì, certo, ma… perché?

A:     Perché cosa?

B:     Perché doveva compiersi proprio con Beethoven?

A:     Perché questa domanda? Semplicemente è stato. Così come è stato tutto il passato, con i suoi motivi e le imperfezioni. Semplicemente “è stato”; così come “siamo” noi, come “è” il mondo e via dicendo.

B:     Va’ avanti.

A:     (Guardando B, anche A si fa assorto). Perché il mondo?… Perché questo flusso?

B:     Perché il divenire?

A:     Forse… perché… (non trovando una risposta, si blocca, con un gesto di disappunto).

B:     … il Divenire…

A:     Ho trovato!

B:     …? … (Di scatto volta il capo verso A, impaziente di ascoltarlo).

A:     La scissione: è come se noi fossimo nati a causa di una sorta di scissione, avvenuta in un passato estremamente remoto. In principio era l’Uno; ma qualcosa separò la sua esistenza primordiale.

B:     Certo, può essere. Ma cosa c’entra questo con…

A:     (Interrompendo) Con …La Musica…?

B:     Con la musica, appunto.

A:     No, aspetta, non “la musica”. Ma… (accompagnando la pausa con un gesto della mano) …La Musica…. Prova a ripetere anche tu rispettando le giuste pause.

B:     (Anch’egli accompagna la pausa, prima della parola, con un gesto) …La Musica… (resta immobile, come se dovesse attendere l’accadimento di qualcosa d’ignoto).

A:     Allora?

B:     Sì… Sì, forse c’entra. La scissione: …La Musica… evoca una scissione avvenuta in passato. E rappresenta l’unione recuperata durante l’azione dell’ascolto.

A:     (Annuisce soddisfatto: le parole di B sono la conferma di ciò che egli ha appena espresso). …La Musica…, il ritorno all’unità…

B:     Il flusso del Divenire che si stringe attorno al cerchio che esso stesso disegna.

A:     …La Musica…

B:     … Così…: soltanto l’evocazione, nel vuoto, del sostantivo che la rappresenta: (si volta verso A, indicandolo con un dito).

A:     …La Musica…

B:     E ora ascolta: … Il Mondo…

A:     … Il Mondo…

B:     … L’Universo…

A:     … L’Universo Ordinato…

B:     … La Musica…

A:     … La Musica…

Il volume della musica si alza; dopo alcuni secondi sfumano

le luci e cala il sipario blu notte (questa volta costellato da

un’infinità di puntini luminosi). La musica continuerà a udirsi anche dopo l’accensione delle luci per il congedo della compagnia teatrale.

 

 

L’ARTE NEL TERZO MILLENNIO

 

Una domanda prima di tutto: cos’è Arte? La risposta: è possibile che, in un’era tecnologica dove economia e mercato stabiliscono le leggi per un’incontrastata sovranità, l’uomo abbia parzialmente dimenticato il reale significato della parola arte. Per trovare una definizione pertinente, mi vien fatto di propagare lo sguardo a ritroso nei tempi: mi piace considerare arte ogni attività che si prefigga il raggiungimento della bellezza e della verità tramite libertà di pensiero e autonomia di rappresentazioni. E ancora: espressione umana del s ub lime attraverso la ricerca dell’unione tra la spiritualità dell’anima e le attività della vita terrena, le sue forme e ogni aspetto manifesto. Ebbene, nell’ultimo secolo, il Novecento, si ha avuto l’impressione che la bellezza e il senso del s ub lime non venissero cercati, dall’artista, in maniera preminente. Quest’ultimo ha impegnato buona parte del suo tempo dedicandosi a linguaggi ermetici, simbolici, dove il significato di ciò che viene immediatamente percepito, o di ciò che traspare dall’opera, rappresenta soltanto la facciata dell’espressione del significante. La vera forza dell’arte novecentesca (quindi sia delle arti figurative che della musica, della letteratura, del teatro) è da ricercare proprio nell’ambito di ciò che il significante riesce a celare in un primo impatto. La riflessione del fruitore diventa parte integrante dell’opera dell’artista. Artista e fruitore (in questo caso si consideri come fruitore colui che beneficia solo dell’opera compiuta, quindi non colui che la esegue) si tengono per mano l’uno di fronte all’altro, il primo a chiedere collaborazione da parte del secondo. Il bello non è più da ricercarsi nel risultato manifesto dell’opera, ma, al contrario, spesso è negato al fruitore stesso; la comunicazione, per quest’ultimo, diviene un complesso lavorio formato da percorsi introspettivi, da stimoli sensoriali che conducono in regioni non chiaramente definite a priori dall’artista. La libertà dell’artista stabilisce i canoni per il raggiungimento di queste nuove verità: la bellezza sovente è da trovarsi in zone oniriche, nell’irrealtà ripudiata dal reale. La trasgressione mostra i denti, il s ub lime lascia spazio al s ub liminale.

Quanto influirono le scoperte e le considerazioni sull’inconscio da parte della psicoanalisi, nel campo delle arti? Tanto, tantissimo; i manifesti delle varie correnti dell'avanguardia parlano chiaro: simbolismo, surrealismo, dadaismo, c ub ismo, astrattismo eccetera. C’è da chiedersi se il nuovo secolo serberà ancora sorprese nell’ambito di sperimentazioni, o se assisteremo, invece, a un ritorno verso canoni più classici. Una visione globale della Storia potrebbe far pensare appunto a un riflusso, con possibili richiami ad una bellezza propriamente definita. Ma la Storia dei secoli passati nulla avrebbe da spartire con la Storia futura, che pare inoltrarsi a gran velocità lungo i binari del digitale, dei computers, e farsi spazio fra le innumerevoli possibilità del mondo virtuale, inserito, dunque, in una realtà dialogico-immaginifica. L’era tecnologica di inizio millennio coincide con un’era di immagini, sì, ma di immagini in movimento: un movimento sfrenato d’immagini. Proviamo a procedere per similitudini consecutive: queste realtà virtuali, questa sorta di straniamento collettivo, potrebbero attingere acqua pura dalla fonte di una bellezza di matrice, ad esempio, romantica? Le due situazioni non sembrano affatto incompatibili, ma, semmai, complementari. Se, da un lato, è vero che il giovane hippy (giovane adulto in voga negli anni sessanta, socialmente impegnato) emulasse involontariamente il comportamento di un Byron irrequieto e assetato di essenza della vita, da un altro punto di vista non è difficile notare come, in pratica, le arti pop abbiano spesso rappresentato un compendio di stilemi preesistenti di vari espressioni artistiche (l’arte del collage, ad esempio, o della fusione di linguaggi di musica classica, blues, jazz, folk, etnica etc.), manifestazione di una cicatrizzante evoluzione tra ferite esistenziali mai completamente rimarginate. La responsabilizzazione degli strati sociali più disagiati coincide con una richiesta di sperimentazioni non solo artistiche, ma anche di vita: la contestazione del giovane hippy impone irriverenti ed inquietanti cliché; egli sperimenta l’amore e la vita di gruppo, viaggia da un capo all’altro del globo con lo scopo di apprendere nuove culture, ricorre all’aiuto di droghe orientali, aborrisce la guerra, mette in discussione l’intera struttura delle civiltà occidentali, mentre l’alleato nero d’America è ancora impegnato in rivendicazioni di eguaglianza razziale. Ad una vita estremamente romantica, nella quotidianità dell’artista di questo scorcio di novecento, quasi mai corrisponde un risultato altrettanto romantico nel prodotto artistico. Né si creda che questa sia una mera caratteristica del pop: il musicista nero purista di Jazz si rifugia, in quegli anni, nel free jazz, musica di difficile comprensione, da parte di coloro che non ne abbiano condiviso le esperienze di vita; e i compositori che lavorano nell’area della dodecafonia e della musica elettronica non ottengono risultati più incoraggianti, in questo senso. Ma ora, da circa due anni nel nuovo secolo, il percorso delle sperimentazioni novecentesche appare ormai concluso: l’esperienza del vivere manifestazioni dell’inconscio durante una situazione cosciente, sembra essere stata abbandonata dall’uomo contemporaneo. Le recenti musiche New Age hanno saputo creare atmosfere rilassanti e convincenti, sostituendo, a pieno titolo, quelle psichedeliche di trenta, quarant’anni prima, prolifiche, ma spesso visionarie. Il terreno sembra fertile, per un ritorno alle arti romantiche. L’artista, nel nuovo millennio, si trova, però, di fronte al computer digitale: si specchia in una realtà virtuale che nulla ha da invidiare alle molteplici possibilità di sbocco da parte di pulsioni generatrici d’arte. Elettrodomestici parlano ormai il linguaggio multimediale, divenuto pane irrinunciabile per le mandibole dell’uomo del 2000. Tutto questo, col romanticismo, probabilmente c’entra come i cavoli a merenda. A meno che non si voglia mutare il significato e l’accezione della parola Arte. Cosa, però, tutt’altro che condivisibile.

Sì, perché arte è qualcosa che esiste in natura, nulla di artificiale o artificioso, dunque. L’arte è dentro di noi, non all’interno del computer o di altri macchinari.

        Né le significative scoperte della fisica quantistica hanno influenzato, in maniera altrettanto significativa, qualcosa che non sia più di una piccola frazione di percorso dell’arte del Novecento. Anch’io non rimasi immune dal fascino del ritorno operato attraverso le necessarie teorie filosofiche di Guitton attorno al Metarealismo, nell’ultimo decennio del Novecento. Non bisogna dimenticare che il progresso tecnologico, con l’avvento del digitale, ha intensificato le possibilità di addivenire a scoperte scientifiche in maniera abnorme. E allora soltanto una voce metafisica sembrava dar corpo a qualcosa di realmente consistente nell’edificio costituito tra i resti di attività in continua mutazione e ricostruzione. Il risultato dell’opera dell’artista, laddove avesse lasciato spiragli aperti alle voci del metarealismo, altro non sarebbe stato che il raggiungimento di attività di pensiero particolarmente speculative, vicine, sì, al progresso scientifico, un po’ meno alle istanze della coscienza.

Allora, l’Arte del Novecento, quella più vera, nel senso più attendibile, più comunicativa, penso sia stato possibile percepire in maniera esaustiva nel Teatro, allorché l’attore sia riuscito a vivere sul palcoscenico situazioni incontaminate. (Becket, in questo campo, non resta forse un esempio convincente di come si possa essere stati innovativi senza, al contempo, tralasciare gli insegnamenti che la Storia e la vita ci abbiano trasmesso?). Un suggerimento all’artista del nuovo millennio, in qualsiasi settore operi, potrebbe essere: nel momento in cui crea, a prescindere dai risultati che otterrà (che, per adesso, non ci interessa conoscere), dovrebbe riuscire ad astrarsi dalla realtà cittadina; non importa se la situazione sia inserita o no in essa, l’importante è riuscire a dare risposte utili, non emulative (anche se non negli intenti) di malesseri ormai conclamati. L’Arte potrebbe essere ricercata nella Natura, distante dalle macchine e dall’industria, lontana da un mercato isterico e possessivo che tutto divora e niente perdona; un mercato che si erge (o, perlomeno, che vorrebbe ergersi) a realtà contemporanea. Una realtà che, come abbiamo visto, non è realtà vera, bensì virtuale. Testimoni sono i mezzi di comunicazione sempre più celeri ed efficienti, tanto da farci dimenticare il reale valore delle distanze. “Quanto tempo ci vuole per andare ai Caraibi? E in Australia?” Le distanze non si misurano più attraverso lo spazio, ma attraverso frazioni di tempo: “In Scozia solo poche ore? Allora la Scozia è qui vicina.” Certo; un po' meno, però, se si decidesse di andarvi a piedi o a cavallo.

Via libera, dunque, anche alla possibilità di rivisitare correnti che abbiano considerato l’Arte come scaturente da condizioni naturali, situazione necessaria per sopperire alle carenze delle attività dell’uomo contemporaneo. Troppo spesso si è caduti nella riproduzione di suoni e di rumori di macchinari e di t ub i di scarico. Basta con la contaminazione del tecnicismo tecnologico! La coscienza dell’uomo ne è satura. Troppo facile sarebbe cadere tra le maglie di un fortuito oscurantismo di natura digitale. Cerchiamo di distinguere fermamente l’arte dalla tecnologia (le quali, come abbiamo visto, per natura sono in antitesi). La Storia del Novecento è, non dimentichiamolo, sicuramente Storia passata (anche se di un passato prossimo fa parte). L’Arte nel terzo millennio, si sente nell’aria, è e vuole essere soprattutto natura, anzi: Realtà della Natura.

 

SU FABIO BOTTAINI…

 

Ho ascoltato l'ultimo CD di Fabio Bottaini, "Concerto al Castello Pietralata", pianista che propone, possiamo dirlo con sicurezza, una musica nuova, nel vero senso della parola; e per nuova non intendo una musica che potrebbe segnare una moda diversa da quelle che ci sono state fino ad oggi, perché alcuna moda è cercata, fortunatamente, da questo artista, che, oserei dire, è artista d'eccezione. Nessuna traccia di virtuosismo, anche se il bagaglio tecnico è molto consistente, è cercata dal musicista: le sue performance non sono esibizioni; al contrario, sono veri "incontri" con le persone che ascoltano le sue improvvisazioni, e che vivono accadimenti sonori in armonia con l'espressionalità dell'artista, e con l'interpretazione del trascorrere dell'evento spazio-temporale che ne fa l'artista Bottaini, in qualità di semplice essere umano a contatto con altri individui della propria specie; lo scopo della sua ricerca, che, da quanto posso capire, giunge sempre a risultati soddisfacenti ed attesi, è quello di raggiungere l'arte assieme all'ascoltatore, senza eluderlo, dunque, ma assimilando l'energia che viene a crearsi in quella determinata situazione (ogni volta differente dalle precedenti, perché unica e irripetibile). L'ascoltatore collabora con il musicista, nel comporre, anche se, ovviamente, in maniera indiretta.

Il bagaglio di Fabio Bottaini nasce dal pop degli anni '70 (forse il decennio più prodigo nei confronti di questo genere, ormai, nel corso degli anni, giunto a livelli di largo consumo, fino a sfociare in una produzione da catena di montaggio sonoro, a cui possiamo assistere ai giorni nostri); l'artista Bottaini si evolve, nel suo cammino, sino a incontrare il jazz e a proporlo, a livello professionale, dal 1985 al 1993, in un organico da trio canonico (basso, batteria, piano). Ma l'evoluzione non finisce qui; la ricerca musicale prosegue, anche in forma di "solo piano", come è nel caso dell'edizione presa in esame, attraverso le registrazioni dal vivo eseguite il 21 giugno 2002, al Castello Pietralata, in provincia di Pesaro. Bottaini non usa dare titoli ai suoi brani, ma li distingue attraverso una collocazione numerica, a livello di data e di sequenzialità. Sicché i quattro brani che compongono il CD, divengono:

21-6-02 - 1;

21-6-02 - 2;

21-6-02 - 3;

21-6-02 - 4.

 

Diciamo s ub ito che, come avrete capito, il bagaglio musicale di Fabio Bottaini è vastissimo, e spazia dal pop, al jazz, alla classica, alla contemporanea, fino a sfociare, appunto, in una musica nuova, che, in un certo senso, a tratti può anche ricordare ciascuno dei vari generi appena citati (non potrebbe essere altrimenti: per poter esprimere, l'arte ha bisogno di canoni mediante i quali comunicare), ma che non faccia parte, nella propria intierezza, di alcuno di essi. La concezione di Bottaini è la seguente: la musica è il prodotto di ciò che si vive nel momento in cui si suona e si ascolta. Quindi, l'esecuzione non può che coincidere con la composizione stessa del brano, diversa in ogni momento, perché ogni momento temporale è unico e irripetibile. E', diciamo così, una concezione portata all'estremo, già largamente presente nel jazz, da secoli; ma mentre, normalmente, nel jazz l'artista si è sempre limitato ad assegnare nell'ambito di predeterminati momenti del brano, l'improvvisazione vera e propria (fatto salvo per le esperienze del free jazz), nel caso di Bottaini, l'artista si esprime senza temi prestabiliti, improvvisando dall'inizio alla fine del brano, partendo da un fraseggio armonico, oppure dalla ricerca di una linea melodica in divenire, ma senza seguire, nemmeno nell'incipit, schemi stabiliti in precedenza. Tuttavia si distanzia nettamente dalle esperienze del free, in quanto la musica cercata da Bottaini è musica armonica, assimilabile da chiunque, spesso rilassante, e che, in un certo senso, percorre, talvolta, anche le situazioni che l'Arte ha potuto sperimentare con la New Age.

 

Ho rilevato, durante l'ascolto del CD, reminiscenze di stilemi usati da Chick Corea, da Fredrich Chopin, da Keith Emerson; ma anche, in maniera minore, da Rick Wakeman, da J. S. Bach, da Anthony Banks, da Keith Jarrett, da Claude Debussy, da Luciano Berio, da Schoenberg. Come vedete il panorama è nutritissimo, ancorché vario, ma sempre e comunque a costituire un tessuto musicale altamente gradevole. E' musica che, ind ub itabilmente, aiuta ad evolvere; non si può nemmeno definire musica colta, perché tutto ciò che è stato rilevato, non sono  citazioni, ma semplice uso di stilemi, necessari, appunto, alla comunicazione. E' musica, a tratti, assimilabile direttamente al primo ascolto, mentre in altri, richiede ulteriori ascolti, per poter essere percepita in maniera esaustiva; e tuttavia non stanca: anche qualora si ascolti il CD più volte consecutivamente, si troveranno momenti musicali non rilevati in precedenza, proprio perché è musica in continua evoluzione; non esistono incisi, ritornelli etc., ma solo il susseguirsi di sonorità, armonie, melodie sempre diverse, sempre in continuo mutamento; come è detto, è musica in costante evoluzione, della quale, certamente, vi consigliamo l'ascolto: https://www.ectomusica.it/old/ent.htm .

 

                                                                                                        

ARCHETIPO

 

Nacqui quando l’equilibrio si ruppe.

        Era pace attorno. Ricordo che potevo ancora percepire gli attimi evanescenti in cui regnava la stasi, esente dal movimento, senza oscillazioni. Il ricordo stesso è un’oscillazione e rappresenta il varco attraverso il quale l’onda prima può raggiungere, nel suo ritorno, gli equilibri statici.

        Dopo la pace ricordo l’estasi, cioè la possibilità di avvertire la bellezza e la perfezione di tali equilibri (non esiste nulla di più appagante che vivere i momenti di quei meravigliosi stati estatici). Ma ormai l’onda vibrava, in un processo binario; non era possibile albergare eternamente nell’estasi, in quanto essa può solamente rappresentare il bene allo stato puro. L’eternità (o il tutto o l’uno) può essere rappresentata, invece, da uno stato di pace neutrale, dal quale appunto provengo, ma niente di più: l’estasi, in quanto tale, per potersi affermare, deve necessariamente confrontarsi con qualcosa di preesistente, nella funzione di contraltare. Ecco quindi il motivo dell’evoluzione del processo binario: il tentativo di superamento della condizione che prevede il continuo contrapporsi di situazioni positive ad altre negative; soltanto dopo l’acquisizione di tale processo, si svelerà la reale coscienza dello stato di quiete come univoca dimensione di pace neutrale. Ecco perché il tempo.

        L’immediata conseguenza dell’affermazione del processo binario, fu la creazione di una volontà che tendesse a prolungare le sensazioni positive, cercando di eliminare quelle negative (in pratica, la volontà non era altro che ricerca di riprodurre lo stato di quiete nell’unione alla percezione del bene). Ma l’esistenza di un metodo che  prevedesse l’alternanza del bene e del male risultò inevitabile: oramai gli equilibri erano rotti, la dimensione unica divisa, per lasciare spazio allo spirito e alla materia, al sogno e alla realtà.

        L’uno (o il tutto, inteso nella forma di armonia statica) si dissolse nell’evoluzione, affermandosi nelle possibilità alternative; che non escludevano, dunque, il ricordo dell’armonia e della pace, ma che rappresentavano la realizzazione del cambiamento. Si conobbe il piacere e il dolore; si imposero i sensi: la materia diventò tangibile, l’estasi rimase un sogno (un sogno al quale sia, però, possibile accedere attraverso l’amore, attraverso, cioè, quello stadio intermedio tra il piacere dei sensi e l’armonia dello spirito fra due diverse realtà).

        Avendo, quindi, messo in d ub bio la realtà della pace e volendo appagarmi nell’estasi, o perlomeno nel piacere dei sensi, accettai di s ub ire le conseguenze del processo binario che si era, in tal modo, reso indispensabile. Conobbi il dolore, l’angoscia, la discordia, e tutto a causa di una sorta di presunzione egocentrica, derivata appunto dall’abbandono di quello stato unico di primordiale pace. Si rendeva, ora, necessario tentare di s ub ordinare le sensazioni negative a quelle positive. La lotta fra gli opposti determinò il caos. Quindi la materia, venendo a contatto con lo spirito, rese possibile l’esistenza di una dimensione che li comprendesse entrambi: la Vita. Una stupenda dimensione attraverso la quale è possibile provare il piacere, mediante i sensi, sia pur pagandone il prezzo con il dolore.

 

        Volli addentrarmi nell’avventura della vita. Inevitabile fu il compromesso: per vivere è necessario anche morire, in quanto la materia, a contatto con lo spirito, si trova in continua trasformazione; difficile, però, vivendo accettare il pensiero della morte. Quindi, per cercare di distrarmi da quest’idea, volli spingermi oltre i sensi, illudermi di poter raggiungere il dominio totale della materia; ma non pervenni ad altro che a guerre e a discordia.

        La posizione di comando è possibile reggerla, ma solo fino a un certo punto: fin dove e quando lo permettano le forze; e per contro la posizione dominante crea necessariamente una controparte oppressa, dominata, appunto, a volte sfruttata. Da qui la nascita di desideri di libertà, di eguaglianza, di indipendenza che riescono ad affermarsi dopo varie e conflittuose fasi (la volontà di rivalsa, la ribellione, il desiderio di distruzione della materia dominata dalle classi dominanti) sino a raggiungere, finalmente, talvolta attraverso rivoluzioni, più spesso (e, comunque, sperabilmente) attraverso trattative e accordi, la libertà stessa.

        Ma questa libertà, ovviamente, non può essere libertà assoluta, in quanto nella vita non vi è nulla di assoluto, essendo ogni cosa in continua evoluzione. Si tratta, quindi, di una porzione di libertà, di una libertà apparente, poiché resta impossibile eliminare quantomeno le necessità della trasformazione della materia, che in questo caso coincidono con l’affermazione del sostentamento in vita, mediante l’istinto di conservazione.

        La morte spaventa questa dimensione interposta fra spirito e materia che è la vita, non tanto perché pone fine alla vita stessa, o per il dolore che comporta la fase del trapasso, ma, soprattutto, perché rappresenta la sconfitta della mia volontà originaria. Ma è qualcosa che devo accettare, se voglio raggiungere nuovamente l’armonia: non più estasi, ma nuovamente pace, stasi. Non si tratta, dunque, di raggiungere il tutto mediante il dominio sulla materia, mediante l’illusione dei sensi, bensì attraverso l’unità sociale, attraverso la ricerca dell’armonia della pace durante l’esperienza della vita, cercando di non badare alle false opportunità che la vita stessa propone alla mia volontà.

        La vita, quindi, è un’esperienza dalla quale un giorno dovrò congedarmi realizzando, come situazione d’inevitabile rimando, il ritorno, attraverso il pensiero, mediante una sorta d’informazione per un’entità sovrasensoriale, che non è natura che si esaurisce nell’atto del compimento di un’azione, bensì coscienza capace di trarre, tramite l’ordine dell’esistenza naturale, tutto ciò che di positivo sia possibile avvertire in questa esperienza.

       

        E così, come un’onda che si frange nella sabbia per poi essere riportata, nel riflusso, all’immenso mare dal quale proviene, anch’io tornerò, un giorno, al motivo originario che mi ha generato, conservando integra quella preziosa stilla di amore che ho potuto conoscere in questo fantastico e tempestoso viaggio della vita, un viaggio che mai, nonostante le avversità e i desideri ai quali ho voluto sottopormi, è riuscito a distruggere quell’armoniosa pace interiore che, come un intimo bene incommensurabile, ho voluto gelosamente custodire intatta.

 

 

ALBA

Franano grida a dirompere,
straripano, la toccano,
urtano impietosamente.
(La coscienza risiede nel loro abisso).

Poi... sfuma.
E mentre limpidamente dilagano
i colori
appare in milioni di occhi sorpresi
e nasce.
(Da "Impulsi e forma")

 

 

MARE

Estraniato dal sasso
che spicca il volo
in un languire afferrato
dall'adorno di quiete illusioni.

E vederne il viso antico,
ricorrente, incalzante,
come se fosse il tempo
la nostra speranza recondita
lo scheletro che regge,
un piano sopra,
gli aneliti e le forze
come appesi a un quadro.

Virano i capitani
circondati da lamenti
e sterzate, tremendi
nel violento incedere,
mai pacati nella rotta.
Domani
l'amico infinito
li accudirà ancora
accogliendoli stanchi,
regalando loro il d
ub bio
e l'eterna interpretazione
di amori
nascosti nella pietra del mito.

E noi qui,
figli di terra vacante,
speranze di motivi,
costrutto di sapore esperto,
di umili tentativi
nel mascherare
o nel lasciar trapelare
l'ingenuità nella purezza.
Che possa lei
regalarti l'insegnamento
fosco fermento
di rigogliose vestizioni
predate nell'intimo.

E,
solo,
con noi,
il mare,
il mito,
a scandire quel ritorno, ciclico
nel rimuovere la sabbia,
nel cambiarcene il passo,
nell'invito a ritrovarci in lei,
ad esprimerci per lei,
sabbia
di interminabili odori
di silenzi in movimento.
(Da "Impulsi e forma")

 

L'AMICO

Mi hai offerto il passo
entrando nella logica
determinandone l'importanza.

(Da "Impulsi e forma

 

 

COMPOSIZIONE

Umido sibila uno sfilo di vento.
Luce generatrice
gli tendi accanto
all'esordio di possibilità.

Vi esprimi la materia
che assolida in forma corale.

Estratto il grido di composizione.
Transporto il calore
nel gelo di esistenza.

(Da "Impulsi e forma")

 

 

 

ALTROVE

L'origine
segnò una svolta.

La novità
crebbe di giorno in giorno,
ad ogni alba,
in ogni conferma in una luce di vittoria.

Ma la verità era altrove.

Noi sappiamo
che non esiste alcuna verità
senza un nostro cenno di fede.
Sappiamo che dagli astri,
anche se potessero un giorno appartenerci,
non potremmo trarre beneficio
più di quanto ora
da ciò di cui già siamo in possesso.

Noi sappiamo
di poter capovolgere ogni cosa
nel senso più profondo.

Tutto ciò che sappiamo
potrebbe essere niente.

Mai potremmo essere verità
se non in un attimo.

Ma la verità era altrove.

(Da "Impulsi e forma")



SILENZIO

Vivendo il silenzio
si odono enormi chiazze dorate.

Fantasioso pegno
è l'ignaro giorno di zelo
che,
operosamente,
ci produce.

 (Da "Impulsi e forma

 

 

CREPUSCOLO

Sfumano
riverberi di vita
nella pausa dell'uomo.

Riflessi astrali
dischiudono
armonie
di civiltà
in espansione.

Sola
la notte
attende
al lume dell'oblio.

L'universo
(si rifugia)
si richiama nell'io.

(Da "Impulsi e forma

 

 

SIMULACRI

Terra:
ombra nascosta al sole.

Potessi r
ub arti il tempo,
che come uno sbattere di porta
mi trasuda stancamente
nell'enfasi di simulacri in espansione.

Se come da una lezione
potessi alzarmi da questa sedia
e scrivere nel foglio primigenio
l'esperienza che ancora mi discerne.

Potessi cantare per te,
terra,
scultura di illusioni,
veste di certezze,
teatro di ideali nascosti.


(Da "Utopia di fine Novecento")

 

 

 

IL CONFINE

Il confine è un punto fermo
intoccabile
non appartiene a nessuno
è il giudice delle nostre azioni.

Il confine non è astrazione,
lo scegliamo assieme alla controparte
di comune accordo,
esiste proprio per farci andare d'accordo,
eppure...

Il confine è muto,
inappuntabile è sospeso lassù
nel mondo delle idee,
ma più di ogni altra cosa è presente tra noi
negli scambi, nei contatti quotidiani,
è materia impalpabile.

Il confine è utile per vivere
per poter sognare con i piedi per terra
per poter cantare armonia,
crea equilibrio,

ma il confine talvolta è torbido:
non trova ragione in un monito di parte,
ma sorge massiccio come una montagna
soltanto quando non cade dal cielo.

(Da "Utopia di fine Novecento")

 

 

CONFLITTI


Il silenzio
nella scia
di una deflagrazione.

Vite inermi
smorzate
da altrui sete di dominio
e da volontà soggiogate.

Vivo
e assisto
al riparo di una distanza
che è solo spazio.

Ma non scorge simboli o principi nella materia
la coscienza.
Vivo e assisto attonito,
non basta.

(Da "Utopia di fine Novecento")

 

LAGO

Onde vibratili
sfiorate.
E' silenzio vivo
(ciuffi d'acqua: animali madreterra).

Mi addentro.

Nel vento
(volatili)
echeggiano motivazioni del Qui.

(Da "Utopia di fine Novecento")

 

TEMPO

Orologio a pendolo tra monti
(latono prassi e routine)
apertura nottesperanza:
la vita scrive

(Da "Utopia di fine Novecento")

 

FOGLIE

Dirò
che il cielo
non mi aspetta
nello sguardo di un gabbiano
che stranito
trasecola
in traiettorie
senza meta.

Dirò
che l'uomo
che vive
tra le mie sazietà
d'animale
non è felice
nel giro di una mandata
che ogni mattina
lo spedisce
nel traffico,
nella routine,
via dal suo essere.

Dirò
che l'ombra
che mi cela
nel degrado circostante
non è sincera
con me
non è sincera
con la vita.

E vorrei
sentire
la Pace globale
nella bellezza dell'alba,
poter interpretare
ogni mio risveglio
nella sua unicità irripetibile,
ascoltare
le novità del giorno
levarsi lentamente,
vivere
ogni tramonto
nella sua essenziale serenità.

Dirò
che il tempo
non aspetta
perché la Vita
gli sfugge
inesorabile
come una secca
foglia
abbandonata,
dimenticata
in un ambiente agonizzante,
calpestata
secondo chissà quale principio.

(Da "Utopia di fine Novecento")

 

 

IL SILENZIO

Da piccolo non trovavo quiete nel silenzio,
perché era non voluto, ma obbligato.
Eppure il silenzio non tradisce
semplicemente perché non ne è capace.

Se vuoi cercare purezza, bontà
o tutto ciò che è comparabile al candore
solo nella sincerità del silenzio
potrai trovarlo,
ma solo se veramente cercherai.
Non troverai nulla di diverso da ciò che cerchi
nel silenzio,
esso è nobile
perché dà sempre ciò che gli viene chiesto.

Ma il silenzio può essere un nemico mortale
perché è specchio inesorabile
e ti getta addosso ciò che sei,
ciò che non vorresti, forse.
Ti lascia solo
quando avido annaspi in una solitudine sottile
che non è che commiserazione di te stesso,
autocompiacimento.
Il silenzio oggi sa d'esser cosa rara,
poco importante,
quasi non voluta
perché non cercata.

Ma il silenzio ampiamente ripagherà
quando dal fondo spalancherà la porta alla tua voce
e sentirai il gemito mutarsi in polvere
e la fatica dissiparsi nell'attesa,
quando finalmente accetterai la tua immagine scarna
riflettersi dallo specchio,
quando non avrai più paura del futuro
perché futuro e passato saranno la stessa cosa.
Soltanto allora il silenzio restituirà in eco
la memoria di te stesso.

Il silenzio non ti tradirà
semplicemente perché non ne è capace.

(Da "Utopia di fine Novecento")


 

 

A CINZIA

Come non poterti esser grato
per avermi donato la tua vita
per esserti mostrata nell'Essere.

Nel miel d'api
riconosco i tuoi capelli
custodi ineguagliabili
di ciò che traspare nel tempo.

(Da "Utopia di fine Novecento")

 

 

 

AURORA

 

(Scritta in occasione del primo compleanno di mia figlia Aurora).

Ancora ti guardo
mentre cerchi immaginari
disegnano le tue piccole membra
e suoni fantasiosi
ricama la tua voce.

Un anno fa nascevi:
tua madre schiudeva
la prima immagine di te
alle cinque della sera;
mi cercavi allora, in sala parto
e mi trovasti,
lontana dagli echi
del tuo stesso vagito.

E nel sorriso di oggi,
nell’azzurro delle tue iridi
ancora scorgo l’annuncio
di quella sera.

No, non chiedere mai
quale sia il tempo delle cose
ma vivi la tua gioia così, come adesso
e non ricordare, se puoi
ciò che potranno dirti di fare
perché ciò che Tu farai, è sicuro
diverrà, al tempo, lo sguardo dell’Aurora.

 

RITRATTO DI NEVE

Soffice candore
ti accarezza il capo e le mani
avvolgendo spazi e valli circostanti,
vincendo le altitudini.

E ancora soffusamente cade
imbiancando orizzonti
e vaste catene montuose,
che s'immergono, lente, nella nebbia....

....nella nebbia trasparente
si schiude un richiamo alato,
sensazioni enfatiche si affermano,
gioie emergono da mondi intatti
e la tua voce s'innalza, figlia,
e i tuoi occhi,
giocando,
cantando,
s'illuminano in bianchi sorrisi
e si disfano in perle iridescenti.


UN SOGNO


Ancora un gesto meccanico
In questa fuggente penna a sfera
Affinché possa valicare
L’alto ostacolo del quotidiano.

Così ti desidero, fuori del tempo
Appoggiarsi leggera al foglio
E sparire tra le rapide dell’archetipo.

Ciò che vale nell’uomo
Si scoprirà nell’agguato di una prova:
in un volto in volo si schiuderà un sorriso
disegnando un sogno al limite del percorso.

 

EMERGENZA JAZZ

Un bagno di suoni ti avvolge:
atmosfere amniotiche
danze primordiali,
la Musica non tradisce
perché l’armonia è poesia
e il ritmo l’anima del corpo.
Ascolta la tua anima,
ascolta il tuo corpo
ed esprimi la tua essenza
qui, ora.

Estendi il manto di suoni
attraverso tappeti di trombe e violini,
proponi la melodia
della parola non detta
su scale di piano smorzate.
Ricama il senso dell’idea
ed estranea il nemico della vita.
Incontra la dissolvenza del tempo
qui, ora.


 


ARGENTEA SFERA NOTTURNA

 

Argentea sfera notturna,

delinearsi di chiari limiti

in forma circolare,

a chiazze ombrose ravvivi montagne e valli,

gole e città;

illuminando altezze incalcolabili,

divieni canto e chiarore d'esistenza:

generi il fato,

evochi miti

ed ogni tenebra si dissolve,

ogni d ub bio disappare,

ed ogni contorno,

ogni limite

sfuma

disfandosi

in purissima

ed eterna

Luce.

 

 

 

GRAZIE GIUSE

Ascolto parole muoversi
inconsuete, nella mano dei tuoi ricordi;
le folte ciglia si aggrottano
quando incespichi nel dolore della memoria.
E tutto riacquista il senso,
tutto ritorna:
la giovinezza,
la Storia,
l'incertezza del vivere...
la morte!

Ricordi d'aver visto passare sopra
gli aerei e
scendere bombe, a grappoli, e...
ammutolire.

Un sussulto.
Implode la tua mente.
E una lacrima piove sul tuo volto.
Gli occhi arrossati, la voce si arroca,
e tutto si ferma
nella tua pausa.

Poi, lo sguardo si riaccende;
un Pugno sul tavolo:
"è l'ora di andare" mi dici
abbozzando un sorriso.
Ti volti verso la porta,
un cenno della tua mano,
e un bacio è come se volessi mandarmi,
da lontano, ma…
non lo fai.

Non lo fai perché sono io, Giuse,
sono qui,
nel 2000.
Sono solo io.
E' finita…
E' tutto finito.

Vittoria!

 

 

 

CROLLO
(scritta in occasione del crollo del muro di Berlino)


Claustrali immagini di Storia
generarono il tempio dello zarathustriano Apollo.

La vita rotolò,
rimbalzando sull’acume della roccia
assaporando l’avidità di un combustibile;
s
ub limandosi nel Motivo di un Preludio
si superò,
sino ad accecarsi nello sguardo di Narciso.

Ah, gi
ub ilo sedotto!

Sardonico olimpo, sei già collezione.


 


A CAMILLA

 

Camilla,

ricordo, di te, l'ampio slancio, vitale

con cui rincorrevi piccole palle

e fogli accartocciati,

salti e parate da campione insospettabile

donavi agli occhi esterrefatti

d'umani in ammirazione.

 

E ricordo quando ti mostrasti a noi

per la prima volta, piccola vita nascente

donataci dal quieto amore materno

d'un docile, sfuggente animaletto.

 

Canto la tua presenza, qui

in una casa che ancora ti vorrebbe

vivere e gioire, attorniata

dai salti d'un'ilare bimba

che sempre ti serberà nel cuore.

 

 

SOLO ALONE D’ INTERMINABILE CORSA ACCIDENTALE 

 

Solo alone d'interminabile corsa accidentale,

un salto fuori del cerchio, come di partita

persa, o vinta ai calci di rigore.

Un'ombra indistinguibile, un gelo invernale,

un nodo allo stomaco che, talvolta, si fa sentire.

 

E ritrovarci ancora a parlare della luna,

in un'estate rigogliosa, eternamente ridisegnata

da ragazzi che vagano, la sera, nella felicità

di un bacio intriso d'attimi luminescenti.

 

Pensare all'alternanza delle cose,

all'umido dei prati, alla rugiada,

al tepore della tranquillità che incalza

a metà strada, fra il ciclico e l'orizzonte.

Udir la voce di tua figlia, che ti chiama.

 

E in cielo una dissonanza

irrompe, di reattore,

mentre t'accomodi in poltrona,

e tutto appare, splende,

e il cielo è azzurro.

 

E un breve spot,

veloce, a ricordare

ancora quell'alone,

di tanto in tanto

tremula foglia

all'imbrunire.

 

 

QUALCOSA DI GRIGIO

 

La luna stasera è stranamente grigia;

non chiedermi perché,

è sempre la stessa storia,

che di giorno in giorno,

di anno in anno,

di vita in vita si ripete.

 

Hanno fatto un torto a una persona,

a un numerino messo laggiù,

nel piccolo angolo nascosto del taschino

di una grande...

costruzione sapiente.

 

Come al solito si saprà fare boccone

del piccolo numero,

ingoiare d'un fiato,

e sorridere ancora.

 

Ma il lato oscuro della luna,

quello grigio, lassù,

questa sera è qui,

è qui con noi

per dire qualcosa di grigio

a qualcuno.

 

 

AFORISMI

 

VITA E CONOSCENZA

 

         1

         La vita è uno stupendo viaggio attraverso regioni inaccessibili senza la volontà di rinnovamento.

 

         2

         Non esisterebbe vita senza quell’ancestrale consapevolezza che ci spinge oltre l’indifferenza.

 

         3

         Vivere significa accettare il risveglio dell’entità sensibile che alberga in noi.

         4

         Vita è sinonimo di sentimento: senza quest’ultimo non esisterebbe vita, ma soltanto piattezza e indifferenza.

 

         5

         Il sentimento è la forza motrice dell’Universo; il pensiero ne mostra i limiti.

 

         6

         La novità è ciò che cerchiamo nel compimento dell’azione; essa è una breve rappresentazione della vita.

 

         7

         Il piacere sensuale, in ogni sua forma, è il vero motivo per cui siamo in vita, ma abusarne significa non accettare la conoscenza.

 

           8

         Le passioni possono esaltarci nel piacere sensuale, ma anche distoglierci dalla conoscenza.

 

         9

         Abbandonarsi al vizio significa assaporare la vertigine più sfrenata senza voler cogliere l’attimo che appaga.

 

         10

         Amare significa accogliere i più nobili sentimenti che nascono dalle passioni. L’amore, quindi, pur nascendo dalle passioni, in breve se ne distacca, per arrivare a superarle dominandole.

 

         11

         La conoscenza stabilisce i limiti della volontà, e si raggiunge confrontando la volontà altrui con la nostra.

 

         12

         La conoscenza ci permette di crescere, quindi di vivere: accettarla significa ospitare innumerevoli novità.

 

          13

         L’ordine, l’amore e la libertà sono condizioni senza le quali è impossibile crescere.

 

         14

         L’istinto vitale rappresenta la nostra vera ricchezza; la conoscenza è indispensabile per potervi convivere quando esso si propone nelle sembianze altrui.

 

         15

         La differenza, in fondo, non è che un’illusione ottica: miope è colui che non scorge se stesso ammirando o ascoltando gli altri.

 

         16

         La molteplicità non è che un inganno della vista: in realtà, rappresenta il movimento dell’unità.

 

         17

         Volersi affermare individualmente equivale a non accettare la conoscenza, ma fermarsi al limite dell’apparenza.

 

         18

         Il tornaconto è utile solamente per mettere alla prova la nostra buona fede: con esso è possibile stabilire un principio di sintonia laddove questa venga messa in discussione.

 

         19

         Saggio è colui che riesce ad ascoltare disinteressatamente la propria voce.

 

PACE E POTERE

 

 

         20

         Chi ha sete di potere avverte una distorsione della necessità del dominio: è indispensabile imparare a dominare le proprie azioni, non quelle altrui, dalle quali, nel peggiore dei casi, bisogna difendersi.

 

         21

         La felicità non si trova in natura, ma si conquista; essa rappresenta l’affermazione della libertà.

 

         22

         La serenità esiste in natura ed è nostro compito difenderla.

 

         23

         La conoscenza è indispensabile per rispettare ogni forma vivente diversa da noi od ogni impulso diverso dai nostri, e quindi per vivere in uno stato di pace. Nonostante ciò, resta impossibile praticare la Pace assoluta, perché non vi è nulla di assoluto nella vita.

 

         24

         E’ nostro compito tendere alla Pace assoluta, anche se essa non esiste in natura.

 

         25

         Non sempre è possibile dividere il bene dal male, ma, tramite la conoscenza, è possibile raggiungere il dominio delle nostre azioni.

 

         26

         Per raggiungere la pace è indispensabile la riflessione, mediante la quale è possibile accrescere la conoscenza.

 

         27

         L’invidia è uno dei sentimenti che maggiormente alimentano sete di potere e discordia. Essa rappresenta uno dei più grandi ostacoli per il raggiungimento della conoscenza.

 

         28

         Saggezza è anche riconoscere e accettare i propri limiti.

 

         29

         Chi è alimentato da sentimenti bellicosi e distruttivi ha bisogno di aiuto, perché non solo non riesce ad accettare se stesso, ma si cerca, in modo anomalo e distorto, disperatamente tra gli altri.

 

         30

         Colui che non accetta chi è diverso da sé, qualunque sia il suo pensiero, non è in grado di agire in favore della pace.

 

         31

         Facile è amare chi ci assomiglia! Ben più difficile è riuscirvi con chi è diverso da noi. Tuttavia, solo così risulterà possibile costruire pace e vivere per essa.

 

         32

E’ giusto che un uomo accetti il potere soltanto se questa è la spontanea volontà del popolo; inoltre è indispensabile, per meritarlo, non fare nulla per cercare di raggiungerlo.

 

         33

         Accettare la guerra equivale a negare la conoscenza.

 

         34

         Non vi è nulla che possa giustificare chi dichiara guerra, in quanto si rende responsabile dei più orribili quanto inutili crimini.

 

         35

         L’uomo, quando produce guerra, non è migliore degli altri animali, ma enormemente peggiore, perché è in grado di causare effetti distruttivi capaci di varcare ogni confine terreno.

 

         36

         L’uomo, quando agisce senza tener conto della coscienza (ovvero senza accettare la conoscenza), non si distingue dagli animali, se non nelle caratteristiche morfologiche e strutturali; ma questo, ovviamente, non è un merito, ma soltanto uno stato di fatto.

 

         37

         Vantarsi per ciò che si è costruito equivale a vanificare l’intero operato, perché si nega la conoscenza mediante la vanità o l’invidia.

 

         38

         La conoscenza, unita all’amore, può costituire esempi per ogni forma vivente. Solo in questo modo l’uomo può eccellere tra gli esseri viventi; e questi ultimi (anche se animali) a modo loro glielo riconosceranno, convivendo in simbiosi con esso.

 

         39

         Grazie alla conoscenza è possibile comunicare con gli animali. Tuttavia occorre rispettare le necessità di questi ultimi, affinché la comunicazione possa essere costruttiva.

 

         40

         Il compito di ogni forma vivente è quello di costruire pace; quest’ultima, infatti, rappresenta lo scopo della conoscenza. Facile intuire, quindi, quale nobile e grande responsabilità sia insita nella natura dell’Uomo, ossia insegnare la Pace alle forme viventi più ostili.

 

         41

         Costruire in favore della guerra equivale non solo a perdere tempo (in quanto si può trascorrerlo, invece, in favore della pace), ma anche, a causa dell’effetto distruttivo che il materiale bellico può portare, a vanificare buona parte di ciò che è stato costruito in passato in favore della pace. In pratica, lavorare per produrre guerra equivale a vivere nella maniera peggiore.

 

         42

         La memoria è utile quanto l’amore, nel fine di costruire pace, perché permette l’esistenza della conoscenza; tuttavia ricordare troppo, a volte, può risultare dannoso.

 

         43

         Saggezza e conoscenza non sempre si accompagnano, ma sono entrambe egualmente utili per costruire la pace.

 

         44

         Non sempre è utile restare fermi nelle proprie convinzioni, perché potrebbe rivelarsi un forte ostacolo al dialogo e quindi alla pace.

 

        

DIO E AMBIENTE

 

         45

         Dio è l’entità trascendente mediante la quale è possibile superare l’indifferenza. Tuttavia non è indispensabile seguire una religione, per costruire pace.

 

         46

         Dio rappresenta l’amore mediante il quale è possibile superare gli ostacoli della vita.

 

         47

         Il limite della vita rappresenta il limite di Dio in questa esistenza. Ecco perché la vita, attraverso la crescita, tende a superare i limiti posti dall’esistenza.

 

         48

         Credere in Dio può anche significare credere nelle potenzialità che sopiscono in noi.

 

         49

         Le religioni possono rappresentare il sostegno della vita: attraverso la fede è possibile abbattere il dolore estremo e superare gli ostacoli più ardui.

 

         50

         Nessuna religione è migliore di un’altra: assurdo è uccidere o sacrificare la Vita altrui nel nome di Dio, in quanto Dio e Vita sono la stessa cosa.

 

         51

         Progresso, scienza e tecnologia contribuiscono ad accrescere conoscenza e benessere; tuttavia l’uso sfrenato che fa di esse l’uomo contemporaneo serve esclusivamente a costruire comodità e potere economico, provocando, per contro, forti scompensi ambientali.

 

         52

         Chi non ama l’ambiente in cui vive non ha stima di sé stesso.

 

         53

         L’uomo contemporaneo ha, nei confronti dell’ambiente naturale, grosse responsabilità; è sconcertante osservare con quanta noncuranza tenda invece a disfarsene.

 

         54

         Il fine ultimo dell’Uomo è quello di superare i bisogni e i desideri del singolo, per raggiungere, attraverso la pace, il Tutto (o l’Uno). Tuttavia è possibile conseguire questo scopo soltanto se è realmente frutto della volontà individuale.

 

         55

         Saper vivere significa anche trovare il coraggio di imparare a morire secondo le leggi dell’Universo conosciuto.

 

         56

         E’ del tutto inutile temere oltremodo la morte, perché essa pone fine soltanto a un breve percorso individuale, non certo al motivo dell’esistenza umana, né, tanto meno, di quella dell’universo; ma rappresenta solamente una fra le innumerevoli tappe dell’esistenza legata alle leggi universali.

 

 

IL SORRISO

 

         57

         Il sorriso è una goccia d’amore donata con saggezza.

 

         58

         Non vi è niente di più bello che ammirare un sorriso disinteressato.

 

         59

         Un sorriso può cambiare il volto della vita.

 

         60

         Amare significa anche saper sorridere al momento giusto.